Author Archives: Cesare Bianchi

Perchè in Italia diminuiscono gli imprenditori?

L’Italia occupa il 36º posto nel mondo per quanto riguarda l’inclinazione imprenditoriale del Paese. Negli ultimi dieci anni, c’è stato un marcato declino nella propensione a avviare nuove imprese. Un vero e proprio crollo, ancora più significativo nel settore manifatturiero: nel 2023, infatti, il livello di attività imprenditoriale era pari al 60% rispetto a quello registrato nel 2010.

Questi dati emergono dal Rapporto GEM Italia 2023-2024 presentato dall’Universitas Mercatorum a Roma. All’evento hanno partecipato rappresentanti istituzionali, accademici e del mondo economico.

Cos’è il GEM?

Il GEM (Global Entrepreneurship Monitor) è diventato il principale strumento di studio dell’attività imprenditoriale a livello mondiale. L’indagine del 2023 ha coinvolto 46 paesi e oltre 100.000 individui, di cui 2.000 in Italia. Il rapporto si propone di offrire una visione dettagliata della situazione imprenditoriale italiana, identificando sfide e opportunità per promuovere un maggior dinamismo imprenditoriale.

La propensione imprenditoriale non abita (più) qui

Nonostante i segnali di ripresa registrati negli ultimi periodi, riferisce Italpress, l’Italia rimane tra i paesi con una bassa propensione imprenditoriale. In particolare, si verifica una discrepanza significativa tra la volontà di avviare nuove imprese e la loro effettiva attivazione. Fattori come la minore propensione al rischio e le difficoltà normative contribuiscono a spiegare questo gap.

Il ruolo dell’istruzione e le differenze di genere

Dai dati emerge che a una maggiore scolarizzazione corrisponda una più alta capacità imprenditoriale. Il rapporto sottolinea quindi l’importanza dell’istruzione nell’incoraggiare l’imprenditorialità, con una maggiore propensione tra i laureati. L’istituzione di programmi educativi sullo specifico tema, come il Contamination Lab, diventa quindi fondamentale.

Anche le differenze di genere influenzano l’attività imprenditoriale, con un divario più ampio in Italia rispetto ad altri paesi. Il rapporto è infatti pari al 40% nel caso delle imprese già avviate, mentre sale al 60% se si considerano le persone che stanno avviando un’attività. In linea con la maggior parte delle economie avanzate, anche in Italia i tassi di attivazione imprenditoriale sono significativamente più alti per gli uomini rispetto alle donne.

Per concludere

In conclusione, il rapporto GEM Italia offre uno sguardo approfondito sulla situazione imprenditoriale nel Paese, evidenziando la necessità di affrontare le sfide e sfruttare le opportunità per promuovere un ambiente imprenditoriale più dinamico e inclusivo.

Cerchi lavoro? Attento al tuo profilo social

I social network sono entrati prepotentemente nelle nostre vite, e non solo nell’ambito personale. Sempre di più, infatti, hanno un impatto anche sulla sfera professionale. Tanto che anche gli head hunter o i responsabili delle assunzioni hanno radicalmente trasformato le modalità di ricerca del personale, ricorrendo sempre più frequentemente a tali piattaforme per individuare potenziali candidati.

Una recente indagine condotta da The Adecco Group su un campione di circa 500 recruiter ha messo in luce l’importanza dei social media nel contesto del processo di selezione del personale. Qualche dato: il 51% dei recruiter ha ammesso di aver subito un’incidenza negativa nel processo di reclutamento dopo aver esaminato i profili social dei candidati. L’indicazione è chiara: occhio ai propri profili social se si è in cerca di una nuova occupazione.

Una rivoluzione rispetto a dieci anni fa

Questo dato rappresenta un notevole aumento rispetto a dieci anni fa, quando solo il 12% dei recruiter si trovava in questa situazione, e anche rispetto al 2021, quando tale percentuale si attestava al 30,8%. Il 37% dei soggetti intervistati ha dichiarato che la presenza di foto considerate inappropriata è stata la causa principale dello scarto della candidatura. Aspiranti candidati sono stati poi “bocciati” per alcuni tratti di personalità riscontrabili nei contenuti pubblicati (per il 27%) e per  manifestazioni esplicite di discriminazione di natura sessuale e/o razziale presenti nelle interazioni online dei candidati (17%).

I recruiter fanno ricerche online

I recruiter, in effetti, dopo aver ricevuto il curriculum vitae, dichiarano di dedicare attenzione alla presenza online del candidato, focalizzandosi sulle esperienze professionali nel 65% dei casi e sui contenuti pubblicati nel 47% dei casi.

“L’uso dei social media da parte dei candidati sta sempre più influenzando le decisioni di assunzione”, ha dichiarato Lidia Molinari, direttrice dei servizi per il personale di Adecco Italia. “I dati ci dimostrano che il controllo dei social media rappresenta uno strumento cruciale nel processo di selezione per oltre la metà dei recruiter, i quali non solo sfruttano tali piattaforme per individuare talenti, ma anche per valutare i candidati”.
“A questo proposito”, ha sottolineato, “consigliamo a chiunque stia cercando opportunità lavorative di sviluppare una propria immagine digitale sui social media, tenendo conto della qualità dei contenuti prima della pubblicazione e prestando attenzione alle modalità di interazione online”.

Linkedin il social più utilizzato per la ricerca di personale

Tra i social network più utilizzati per la ricerca di candidati, LinkedIn rimane al primo posto con il 96% dei recruiter che ne fanno uso: il 67% lo utilizza per raccogliere candidature, mentre il 60% lo utilizza per la ricerca di candidati passivi, ovvero professionisti non attivamente alla ricerca di lavoro, ma per i quali l’analisi del profilo online costituisce un elemento fondamentale del processo di reclutamento.

Casa: compravendite -9,7%, locazioni +3% nel 2023

Nel 2023 le compravendite hanno subito un calo del -9,7%, e la quota di compravendite assistita da mutuo è passata dal 48,4% del 2022 al 39,9% del totale degli acquisti del 2023. Le difficoltà di accesso al mercato della compravendita hanno favorito un potenziale spostamento di interesse della domanda verso l’affitto, che rispetto all’anno precedente è cresciuta del 3%.

È quanto emerge dal 1°Osservatorio sul Mercato Immobiliare di Nomisma, che analizza la congiuntura del settore con focus su 13 mercati intermedi (Ancona, Bergamo, Brescia, Livorno, Messina, Modena, Novara, Parma, Perugia, Salerno Taranto, Trieste, Verona).
Di fatto, il progressivo incremento dei tassi di interesse e la ritrovata selettività del ceto bancario hanno bruscamente interrotto un meccanismo che pareva destinato ad accrescere in maniera costante anche le aspirazioni più fragili. Ovvero, l’acquisto della prima casa

Ma gli acquisti senza mutuo crescono del +4,8%

In altre parole, 48mila nuclei familiari hanno rinunciato ad acquistare una casa a favore dell’affitto nel 2023.
In questo contesto la rigidità dei valori immobiliari, che in Italia caratterizza storicamente le fasi di inversione ciclica, finisce inevitabilmente per ampliare le distanze tra aspettative dell’offerta e disponibilità della domanda, contribuendo a rallentare ulteriormente l’attività transattiva.

Secondo Nomisma, il calo delle compravendite registrato nel 2023 è imputabile esclusivamente alla componente della domanda uscita dal mercato perché dipendente dal credito (-26%), mentre gli acquisti senza mutuo continuano a crescere (+4,8%).

Non basteranno scelte più accomodanti da parte della BCE per far risalire le transazioni

La variazione positiva che ha interessato i valori delle abitazioni dei mercati intermedi, seppur modesta (+1,2% usato, 1,7% ottimo stato) è una sintesi di dinamiche locali tutt’altro che omogenee.

Ad esempio, se i mercati di Messina e Ancona fanno segnare una flessione nominale dei prezzi (rispettivamente -2,2% e -1%), quelli di Trieste e Novara (+3,2%, +3%) evidenziano una variazione positiva di entità doppia rispetto alla media dei mercati.
Non basterà, quindi, un atteggiamento più accomodante da parte della BCE per determinare un’immediata risalita delle transazioni, ma sarà necessaria una fase di normalizzazione che agevoli il ripristino di condizioni più favorevoli alla domanda.

Affitti: si accentua la carenza di offerta 

Sul fronte della locazione non si arresta la crescita dei canoni (+2,9% annuo). 
La media sintetizza però una certa variabilità tra i mercati monitorati, dal calo di Messina (-1,3%), alla stabilità di Bergamo (+5,1%) fino al picco di Perugia (+5,2%).
Lo spostamento di interesse verso la locazione metterà ancora più in evidenza il sovraffollamento di un comparto che già oggi sconta un’evidente carenza di offerta.

Quanto ai tempi medi di vendita nel residenziale si assiste a una certa stabilizzazione (da 5,2 a 5,6 mesi). Anche in questo caso tra i mercati si assiste a una certa variabilità, con i tempi di vendita che oscillano tra 3,5 mesi di Trieste e 6 mesi di Ancona.

Eventi climatici estremi: l’Europa non è preparata 

Secondo i risultati della prima valutazione europea dei rischi climatici, l’European Climate Risk Assessment (Eucra), in Europa le politiche e gli interventi di adattamento non tengono il ritmo con la rapida evoluzione di questi rischi.
“In molti casi – si legge nel rapporto -, un adattamento incrementale non sarà sufficiente. Inoltre, poiché numerose misure volte a migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici richiedono molto tempo, possono essere necessari interventi urgenti anche per rischi non ancora critici”.

In base alla valutazione dell’Agenzia europea dell’ambiente, l’Aea, i rischi climatici hanno già raggiunto livelli critici. E potrebbero diventare catastrofici in assenza di interventi urgenti e decisivi.
Di fatto, in Europa i rischi legati ai cambiamenti climatici minacciano la sicurezza energetica e alimentare, gli ecosistemi, le infrastrutture, le risorse idriche, la stabilità economica e la salute dei cittadini. 

Incendi e inondazioni minacciano i territori 

In alcune regioni d’Europa si concentrano rischi climatici multipli. L’Europa meridionale, ad esempio, è “particolarmente a rischio a causa degli incendi boschivi nonché degli effetti delle ondate di calore e della scarsità di acqua sulla produzione agricola, sul lavoro all’aria aperta e sulla salute umana. Le inondazioni, l’erosione e l’infiltrazione di acqua salata minacciano le regioni costiere europee a bassa quota, comprese molte città densamente popolate”.

Secondo Leena Ylä-Mononen, direttrice esecutiva dell’Aea, “l’Europa si trova di fronte a rischi climatici urgenti che si acuiscono più rapidamente di quanto le nostre società riescano a prepararsi. Per garantirne la resilienza, i responsabili politici europei e nazionali devono agire immediatamente – aggiunge – sia mediante una rapida riduzione delle emissioni sia con l’attuazione di politiche e di interventi di adattamento forti”.

A rischio ecosistemi, alimenti, salute, infrastrutture, economia, finanza

La valutazione dell’Aea individua in Europa 36 principali rischi climatici nell’ambito di cinque grandi gruppi: ecosistemi, alimenti, salute, infrastrutture, economia e finanza.
Quasi tutti i rischi nel gruppo ecosistemi, poiché presentano un elevato potenziale di ricaduta su altri settori, richiedono interventi urgenti. Soprattutto i rischi per gli ecosistemi marini e costieri.

I rischi dovuti a caldo eccessivo e siccità sono già a livello critico per la produzione agricola nell’Europa meridionale, ma il calore è il fattore di rischio climatico più grave anche per la salute.
Gli eventi meteorologici estremi più frequenti aumentano poi i rischi per le infrastrutture e i servizi critici (energia, acqua, trasporti). E numerosi rischi climatici interessano anche l’economia e il sistema finanziario.

“Sono necessari interventi urgenti e coordinati”

Secondo l’Agenzia, “l’Ue e i relativi Stati membri hanno compiuto notevoli progressi nella comprensione dei rischi climatici e nella preparazione ad affrontare tali rischi. Tuttavia, riporta Adnkronos, la preparazione della società in generale è resa insufficiente dal ritardo nell’attuazione delle politiche rispetto al rapido aumento dei livelli di rischio”.

La valutazione dell’Aea sottolinea che “per affrontare e limitare i rischi climatici in Europa, l’Ue e gli Stati membri devono collaborare coinvolgendo anche i livelli regionali e locali laddove si rivelino necessari interventi urgenti e coordinati”.

Basta acquisti compulsivi: arriva la sfida che fa bene al budget e all’ambiente

Si chiama #nospendchallenge la sfida virale che invita tutti a spendere e a consumare meno. Per i più motivati, l’obiettivo è riuscire a non spendere proprio nulla: e non si tratta di una necessità dovuta a scarse disponibilità economiche, ma di una vero e proprio stile di vita. Una tendenza che unisce quindi due nobili scopi: gestire consapevolmente il denaro in un momento difficile a livello globale e soprattutto ridurre l’impatto ambientale causato dai consumi eccessivi.

Una scelta radicale

Nel contesto attuale, sia nel mondo reale sia in quello virtuale, la #nospendchallenge spicca come una sfida tutt’altro che frivola. Prendersi questo impegno implica una decisione radicale: non acquistare nulla che non sia strettamente necessario per un periodo predeterminato, che può variare da una settimana a un anno. Tuttavia, alcune spese fondamentali, come il mutuo, le bollette, il cibo, i medicinali e gli acquisti obbligati, rimangono escluse dalla sfida.

Una pianificazione attenta

Affrontare la no spend challenge richiede una pianificazione attenta. Vanno infatti stabilite in anticipo le voci essenziali da otto ciò che può essere sacrificato. Ad esempio, gli esperti consigliano di dire no all’acquisto di libri se in casa ce ne sono già molti altri da leggere, riscoprendo invece l’utilità delle biblioteche. Allo stesso modo, dovrebbero essere evitati vestiti, pranzi fuori, cibi non salutari, cosmetici, device elettronici, media in streaming e molti altri acquisti superflui dovrebbero essere evitati.

Consapevolezza sull’impatto ambientale dietro i nostri acquisti

Il cuore della sfida risiede nella consapevolezza dell’impatto ambientale che gli acquisti hanno. La sovraproduzione, soprattutto nell’industria della moda, ha generato costi ecologici incontrollabili. La Generazione Z, attenta alle questioni ambientali, si sta impegnando attivamente in questa sfida come forma di protesta contro il consumismo senza freni e la produzione non sostenibile.

La pandemia ha amplificato il ricorso degli acquisti online, riferisce Adnkronos, con ulteriori conseguenze ambientali derivanti dagli imballaggi e dal trasporto. La “no-spend-challenge” mira a interrompere il circolo vizioso degli acquisti compulsivi, promuovendo l’economia circolare e la consapevolezza delle reali necessità.

Imparare a gestire le finanze

Inoltre, la sfida vuole anche insegnare ai più giovani a gestire in maniera migliore le finanze. I ragazzi della Generazione Z, così come le donne, sono considerati elementi vulnerabili nell’ambito dell’educazione finanziaria. La #nospendchallenge può rappresentare uno strumento per riflettere su ogni acquisto, promuovendo una gestione più consapevole delle proprie disponibilità economiche.

In conclusione, la no spend challenge dimostra che si può vivere con meno, contribuendo al benessere personale, all’ambiente e alla salute finanziaria. La sfida va oltre la mera restrizione economica, fungendo da catalizzatore per cambiamenti positivi nella vita quotidiana.

Le compravendite e i mutui di fonte notarile nel II trimestre 2023

Emerge dai dati notarili: nel II trimestre 2023 gli atti notarili per la compravendita di unità immobiliari in Italia sono 235.725, -4,1% rispetto al trimestre precedente (dato destagionalizzato) e -16,0% su base annua (non destagionalizzato. 

Il 94,0% delle convenzioni stipulate riguarda i trasferimenti di proprietà di immobili a uso abitativo (221.514), il 5,7% quelli a uso economico (13.373) e lo 0,4% le convenzioni a uso speciale e multiproprietà (838).
Il mercato immobiliare però è in diminuzione, e registra percentuali negative su tutto il territorio nazionale: Nord-Ovest -5,4%, Isole -3,2%, Centro -3,0%, Sud -0,6% e Nord-Est -0,4%.

Comparto abitativo: -16,7% rispetto al 2022

Rispetto al II trimestre 2022 le transazioni immobiliari diminuiscono del 16,7% nel comparto abitativo e dell’1,5% nell’economico.
A livello territoriale il settore abitativo segna, su base annua, variazioni percentuali negative in tutto il Paese: Nord-Ovest -21,6%, Centro -17,8%, Sud -14,8%, Nord-Est -13,8% e Isole -5,5%. 

Il settore economico diminuisce nel Nord-Ovest (-6,5%), nel Centro (-6,4%) e nelle Isole (-4,2%), mentre aumenta nel Nord-Est (+6,2%) e al Sud (+4,9%). Nel settore abitativo le compravendite si riducono sia nei grandi sia nei piccoli centri (rispettivamente, -20,9% e -13,5%), in quello economico, diminuiscono nei grandi centri (-6,6%) e aumentano nei piccoli (+2,1%).

Mutui e finanziamenti: -35,3%

Le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare sono 78.512. La variazione percentuale calcolata sul dato destagionalizzato è di -7,3% rispetto al trimestre precedente, mentre la variazione su base annua calcolata sul dato non destagionalizzato è di -35,3%.

Il calo interessa tutto il territorio su base sia congiunturale (Sud -9,5%, Nord-Ovest -8,4%, Nord-Est -7,6%, Isole -6,3% e Centro -3,9%) sia annua (Nord-Ovest -40,6%, Centro -36,2%, Sud -32,5%, Nord-Est -30,4%, Isole -27,6%), le città metropolitane -39,5% e i piccoli centri -31,7%.

Andamento in ribasso anche nel I semestre 2023

Nel I semestre 2023 il mercato immobiliare, con 446.416 convenzioni notarili di compravendita, registra un andamento in ribasso rispetto allo stesso periodo del 2022 (-13,7%). La flessione interessa il settore abitativo (-14,4%), con variazioni negative superiori alla media nazionale nel Nord-Ovest (-19,3%) e al Centro (-17,0%), più lieve nel Nord-est -11,1%, Sud -10,2% e Isole -5,2%.

Il settore economico è stabile a livello nazionale, mentre registra un andamento differenziato per area geografica, con una crescita al Sud (+5,2%) e nel Nord-Est (+4,6%) e una contrazione al Centro (-4,2%), nel Nord-Ovest (-3,1%) e nelle Isole (-1,8%).
Le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare (152.094 nel I semestre 2023) sono in forte calo (-33,3%).
Soprattutto al Nord-ovest (-38,7%) e al Centro (-35,1%), più contenuta al Sud -29,2%, Nord-Est -28,1% e Isole -26,6%.

Nel 2023 bollette meno care: luce -34%, gas -27% 

“Nel 2023 abbiamo fatto i conti con bollette meno salate, con l’arrivo del 2024 assistiamo a buoni segnali sul fronte del costo delle materie prime, ma questo non significa che automaticamente le bollette caleranno”, spiega Mario Rasimelli, Managing Director Utilities di Facile.it.
Secondo l’analisi di Facile.it, lo scorso anno tra luce e gas gli italiani hanno infatti pagato, mediamente, 1.633 euro a famiglia: nel 2022 erano 2.349.

In particolare, a parità di consumi, le famiglie italiane con un contratto di fornitura nel mercato tutelato hanno speso, in media, circa 770 euro per la bolletta della luce, e 863 euro per quella del gas. Rispettivamente, il 34% e il 27% in meno rispetto all’anno precedente.

In quale regione si è speso di più per l’energia elettrica? In Sardegna

Considerando la sola energia elettrica e analizzando i dati su base locale, emerge come la Sardegna sia stata la zona d’Italia dove le bollette sono state più pesanti. Nell’Isola il consumo medio a famiglia è stato di 2.835 kWh, che considerando le tariffe dello scorso anno in regime di tutela, corrisponde a un costo di 914 euro, ovvero il 18,7% in più rispetto alla media nazionale.

È bene ricordare che in molte parti della regione non è attivo il riscaldamento con gas di città, situazione che spesso viene compensata utilizzando dispositivi elettrici con conseguenti forti impatti sui consumi.

Sicilia e Veneto completano il podio

Al secondo posto della graduatoria si posiziona la Sicilia, dove lo scorso anno sono stati messi a budget, mediamente, 825 euro a famiglia con un consumo medio rilevato di 2.557 kWh. Chiude il podio il Veneto, area dove si sono spesi 814 euro (2.525 kWh).

Guardando la classifica dal lato opposto, invece, emerge come le aree in cui, a fronte di consumi elettrici più contenuti, le bollette sono state più leggere sono la Liguria (642 euro per un consumo di 1.991 kWh), la Basilicata (662 euro, 2.054 kWh) e il Trentino-Alto Adige (675 euro, 2.093 kWh).

Gas: in Trentino-Alto Adige ne consumano di più

Anche per il gas le bollette variano a seconda dei consumi medi rilevati. Se nel 2023 sul fronte dell’elettricità gli abitanti del Trentino-Alto Adige sono stati tra i più fortunati, la situazione cambia per la fornitura di gas, dal momento che hanno pagato il conto più salato. Mediamente, 976 euro (a fronte di un consumo medio di 1.049 smc). Dati alla mano, il 13% in più di quanto rilevato a livello nazionale.
Seguono, a breve distanza, la Lombardia (968 euro con un consumo medio di 1.040 smc) e l’Emilia-Romagna (958 euro, 1.030 smc).

Le aree in cui, di contro, nel 2023 le bollette del gas sono state più leggere sono la Sicilia (598 euro, 643 smc), la Campania (609 euro, 654 smc) e il Lazio, dove la spesa per il gas è stata di 619 euro (665 smc).

Lavoro: cambia la relazione con il reddito e i propri interessi

Fra il terzo trimestre 2022 e il terzo trimestre 2023 l’occupazione in Italia è aumentata di 470.000 unità. Tutti gli indicatori che riguardano le componenti dell’occupazione, dipendente e indipendente, mostrano un segno positivo. Il solo segno negativo è riconducibile a contratti di lavoro a termine, che si riducono in dodici mesi di 89.000 unità (-2,9%).

Ma per il 62,7% degli italiani il lavoro non è centrale nella vita. E il 76,2% dei giovani scambierebbe solo a caro prezzo un’ora di tempo libero con un’ora di lavoro. 
Per l’80% degli occupati in passato si è chiesto troppo a chi lavora. Ora è giusto pensare di più a sé stessi. È quanto emerge dal Rapporto ‘Il senso del lavoro nella comunità produttiva e urbana di Bologna’, realizzato dal Censis con la collaborazione di Philip Morris.

Il lavoro invecchia

D’altra parte, nel giro di dieci anni, fra il 2012 e il 2022, la base occupazionale formata da giovani con un’età compresa fra 15 e 34 anni si è ridotta di circa 360.000 unità, mentre i lavoratori con almeno 50 anni sono aumentati di 2,7 milioni. 

Inoltre, la mancata partecipazione al mercato del lavoro conta oggi 12 milioni e 434.000 persone (quasi otto milioni donne), che pur essendo in età lavorativa, non lavorano e non sono alla ricerca di un lavoro.
Quasi dieci italiani su cento dichiarano di non partecipare al mercato del lavoro perché scoraggiati dagli esiti negativi della ricerca di un lavoro (prevalentemente donne).

Lavorare per vivere, non vivere per lavorare

Tre quarti degli italiani (76,1%) condividono l’affermazione secondo la quale in Italia il lavoro c’è, ma è poco qualificato e sottopagato.
Il 76,2% dei giovani è convinto che un impegno aggiuntivo di un’ora di lavoro deve avere un compenso tale da giustificare la rinuncia a un’ora di tempo libero, e l’80% degli italiani occupati vede nel lavoro un fattore, che soprattutto in passato, ha portato a trascurare gli interessi personali, tanto da porre il proprio benessere in secondo piano (79,8% giovani, 80,8% 35-64enni).

Fra chi è alla ricerca di un nuovo lavoro, il 36,2% indica come motivazione principale ottenere un guadagno più elevato rispetto a quello corrente, per il 36,1% la ricerca di un nuovo lavoro è stimolata dalla necessità di vedere riconosciuto il livello di competenze acquisito e da una maggiore prospettiva di carriera.

Il senso del lavoro

Il profilo di ciò che rappresenta il lavoro per i dipendenti può essere evidenziato attraverso tre elementi.
Il primo è il lavoro come diritto, ma anche come contributo personale a qualcosa che supera i confini del posto di lavoro e trova un riscontro anche nella collettività (lo afferma un dipendente su quattro).

Il secondo, è il lavoro come fattore di indipendenza (43,2%), con particolare rilevanza per la componente femminile dell’occupazione (57,6%).
Il terzo, il lavoro come fattore di sicurezza economica (41,1%), che possa però essere svolto in un ambiente lavorativo meritocratico (48,6%).

Google: nuova politica sulla condivisione dei dati in Europa

Una nuova politica in risposta all’Atto dei Mercati Digitali della UE (DMA) permette agli utenti di Google di optare per la non condivisione dei dati su tutti, alcuni o nessuno dei servizi offerti dal motore di ricerca. I servizi elencati includono YouTube, Search, i servizi pubblicitari, Google Play, Chrome, Google Shopping e Google Maps.

È questa la modifica alla policy annunciata dal gigante di Mountain View, un provvedimento che permetterà agli utenti in Europa di decidere con precisione quanto e con chi sono disposti a condividere i propri dati.

Previste regole aggiuntive sull’interoperabilità e sulla concorrenza

Tuttavia, la policy non è totale. Google continuerà infatti comunque a condividere i dati degli utenti quando sia necessario per completare un’operazione, come, ad esempio, quella di effettuare un acquisto su Google Shopping tramite Google Pay, al fine di ottemperare alla legge, prevenire frodi o proteggersi dagli abusi.

In realtà non si tratta della modifica più significativa che Google dovrà apportare per conformarsi al DMA, che entrerà in vigore il 6 marzo prossimo. La legge prevede anche regole aggiuntive sull’interoperabilità e sulla concorrenza. Ad esempio, Google dovrà smettere di trattare i propri servizi in maniera più favorevole rispetto ad altri servizi di terze parti nella classificazione di Search.

L’Europa non è l’unica a preoccuparsi

La UE non è l’unica ad avere sollevato preoccupazioni riguardo alle enormi quantità di dati degli utenti raccolte da Google.
Negli Stati Uniti, il Dipartimento di Giustizia ha citato in giudizio la società californiana in quello che è probabilmente il più grande processo antitrust nel paese dal caso contro Microsoft negli anni ‘90.

In uno dei suoi argomenti, il Dipartimento di Giustizia ha sostenuto che la grande quantità di dati degli utenti raccolti da Google nel corso degli anni ha portato a un meccanismo atto a garantire che l’azienda rimanga il motore di ricerca leader nel mondo.

Gli utenti dovranno scegliere tra privacy e comodità

Tuttavia, riferisce Adnkronos, le nuove modifiche introdotte da Google a causa del DMA comporteranno alcuni compromessi per gli utenti che vogliono proteggere i propri dati.
L’azienda ha fatto notare che se un utente decide di scollegare Search, YouTube e Chrome, ciò influenzerà le raccomandazioni personalizzate su YouTube. 

Se invece Search e Maps vengono scollegati, Google Maps non sarà più in grado di suggerire luoghi (come, ad esempio, ristoranti) in base alle attività precedenti.
Gli utenti di Google dovranno scegliere tra la loro privacy e la comodità di avere i servizi Google connessi tra loro. Ma, almeno in Europa, avranno la possibilità di essere più precisi nel definire dove tracciare la linea.

Quali sono i cinque trend del lavoro per il 2024?

Quali sono le cinque tendenze che definiranno il panorama occupazionale nel 2024? Le ha identificate Indeed, il sito globale per chi cerca e offre lavoro, basandosi sui dati e le osservazioni condotte nel 2023.

Il lavoro nel 2024 si preannuncia come un ambiente dinamico, dove adattabilità, innovazione e impatto sociale saranno le chiavi per il successo. Pertanto, i cinque trend che guideranno il mondo del lavoro nel 2024 saranno una crescente domanda di lavoratori altamente qualificati, l’automazione nei processi di recruitment, l’espansione del lavoro ibrido, la necessità di una formazione continua, e una crescente importanza dell’equilibrio tra vita professionale e vita privata.

Formazione continua, nuove tecnologie e flessibilità

Il rapido sviluppo dell’AI, dell’automazione e delle nuove tecnologie richiederà un’adattabilità senza precedenti da parte di lavoratori e aziende.
Il 2024 sarà perciò caratterizzato da una crescente domanda di competenze digitali, in particolare, riguardo AI, robotica e programmazione. Indeed prevede che la formazione continua diventerà una priorità, con un focus crescente su competenze digitali e nuove metodologie di lavoro.

Ma al centro delle politiche aziendali ci sarà anche l’equilibrio tra lavoro e vita personale.
La pandemia ha ridefinito le aspettative dei dipendenti riguardo lavoro flessibile e opzioni di lavoro da remoto.
Le aziende che abbracciano e promuovono un ambiente di lavoro flessibile risulteranno più attrattive.

AI integrata nel recruiting, salute digitale, sostenibilità

La crescente competizione per i talenti porterà a un’innovazione significativa nei processi di assunzione e gestione del personale.
L’integrazione dell’AI nel recruiting diventerà la norma, ottimizzando e automatizzando la corrispondenza tra candidati e posizioni aperte.

Ma i temi emergenti della salute digitale, la tecnologia blockchain e la sostenibilità vedranno un interesse costante anche nel 2024, sia da parte dei datori di lavoro sia di coloro che lo cercano.
Inoltre, le aziende saranno sempre più valutate anche per l’impatto sociale e ambientale. Le organizzazioni che integrano sostenibilità, inclusività e responsabilità sociale nella cultura aziendale attireranno e manterranno talenti di alto livello.

“Trovare il giusto equilibrio tra innovazione tecnologica e umanizzazione”

“Le tecnologie emergenti come l’AI stanno rivoluzionando il modo in cui le aziende assumono e gestiscono i lavoratori, ed è un tema che rimarrà centrale, insieme agli altri aspetti dell’innovazione – commenta Roberto Colarossi, senior sales director di Indeed -. Tuttavia, rimane fondamentale trovare il giusto equilibrio tra l’utilizzo delle innovazioni tecnologiche e l’umanizzazione di tutto il processo di assunzione. Ma non ci sono solo le nuove tecnologie: rimane alta l’attenzione per flessibilità, inclusività e well-being, sempre più importanti per attrarre e trattenere i migliori talenti. Le competenze digitali, anche in settori tradizionalmente non tecnologici, si confermano essenziali, per rimanere competitivi, infatti, sarà fondamentale garantire una formazione continua”.