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Casa: compravendite -9,7%, locazioni +3% nel 2023

Nel 2023 le compravendite hanno subito un calo del -9,7%, e la quota di compravendite assistita da mutuo è passata dal 48,4% del 2022 al 39,9% del totale degli acquisti del 2023. Le difficoltà di accesso al mercato della compravendita hanno favorito un potenziale spostamento di interesse della domanda verso l’affitto, che rispetto all’anno precedente è cresciuta del 3%.

È quanto emerge dal 1°Osservatorio sul Mercato Immobiliare di Nomisma, che analizza la congiuntura del settore con focus su 13 mercati intermedi (Ancona, Bergamo, Brescia, Livorno, Messina, Modena, Novara, Parma, Perugia, Salerno Taranto, Trieste, Verona).
Di fatto, il progressivo incremento dei tassi di interesse e la ritrovata selettività del ceto bancario hanno bruscamente interrotto un meccanismo che pareva destinato ad accrescere in maniera costante anche le aspirazioni più fragili. Ovvero, l’acquisto della prima casa

Ma gli acquisti senza mutuo crescono del +4,8%

In altre parole, 48mila nuclei familiari hanno rinunciato ad acquistare una casa a favore dell’affitto nel 2023.
In questo contesto la rigidità dei valori immobiliari, che in Italia caratterizza storicamente le fasi di inversione ciclica, finisce inevitabilmente per ampliare le distanze tra aspettative dell’offerta e disponibilità della domanda, contribuendo a rallentare ulteriormente l’attività transattiva.

Secondo Nomisma, il calo delle compravendite registrato nel 2023 è imputabile esclusivamente alla componente della domanda uscita dal mercato perché dipendente dal credito (-26%), mentre gli acquisti senza mutuo continuano a crescere (+4,8%).

Non basteranno scelte più accomodanti da parte della BCE per far risalire le transazioni

La variazione positiva che ha interessato i valori delle abitazioni dei mercati intermedi, seppur modesta (+1,2% usato, 1,7% ottimo stato) è una sintesi di dinamiche locali tutt’altro che omogenee.

Ad esempio, se i mercati di Messina e Ancona fanno segnare una flessione nominale dei prezzi (rispettivamente -2,2% e -1%), quelli di Trieste e Novara (+3,2%, +3%) evidenziano una variazione positiva di entità doppia rispetto alla media dei mercati.
Non basterà, quindi, un atteggiamento più accomodante da parte della BCE per determinare un’immediata risalita delle transazioni, ma sarà necessaria una fase di normalizzazione che agevoli il ripristino di condizioni più favorevoli alla domanda.

Affitti: si accentua la carenza di offerta 

Sul fronte della locazione non si arresta la crescita dei canoni (+2,9% annuo). 
La media sintetizza però una certa variabilità tra i mercati monitorati, dal calo di Messina (-1,3%), alla stabilità di Bergamo (+5,1%) fino al picco di Perugia (+5,2%).
Lo spostamento di interesse verso la locazione metterà ancora più in evidenza il sovraffollamento di un comparto che già oggi sconta un’evidente carenza di offerta.

Quanto ai tempi medi di vendita nel residenziale si assiste a una certa stabilizzazione (da 5,2 a 5,6 mesi). Anche in questo caso tra i mercati si assiste a una certa variabilità, con i tempi di vendita che oscillano tra 3,5 mesi di Trieste e 6 mesi di Ancona.

Le compravendite e i mutui di fonte notarile nel II trimestre 2023

Emerge dai dati notarili: nel II trimestre 2023 gli atti notarili per la compravendita di unità immobiliari in Italia sono 235.725, -4,1% rispetto al trimestre precedente (dato destagionalizzato) e -16,0% su base annua (non destagionalizzato. 

Il 94,0% delle convenzioni stipulate riguarda i trasferimenti di proprietà di immobili a uso abitativo (221.514), il 5,7% quelli a uso economico (13.373) e lo 0,4% le convenzioni a uso speciale e multiproprietà (838).
Il mercato immobiliare però è in diminuzione, e registra percentuali negative su tutto il territorio nazionale: Nord-Ovest -5,4%, Isole -3,2%, Centro -3,0%, Sud -0,6% e Nord-Est -0,4%.

Comparto abitativo: -16,7% rispetto al 2022

Rispetto al II trimestre 2022 le transazioni immobiliari diminuiscono del 16,7% nel comparto abitativo e dell’1,5% nell’economico.
A livello territoriale il settore abitativo segna, su base annua, variazioni percentuali negative in tutto il Paese: Nord-Ovest -21,6%, Centro -17,8%, Sud -14,8%, Nord-Est -13,8% e Isole -5,5%. 

Il settore economico diminuisce nel Nord-Ovest (-6,5%), nel Centro (-6,4%) e nelle Isole (-4,2%), mentre aumenta nel Nord-Est (+6,2%) e al Sud (+4,9%). Nel settore abitativo le compravendite si riducono sia nei grandi sia nei piccoli centri (rispettivamente, -20,9% e -13,5%), in quello economico, diminuiscono nei grandi centri (-6,6%) e aumentano nei piccoli (+2,1%).

Mutui e finanziamenti: -35,3%

Le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare sono 78.512. La variazione percentuale calcolata sul dato destagionalizzato è di -7,3% rispetto al trimestre precedente, mentre la variazione su base annua calcolata sul dato non destagionalizzato è di -35,3%.

Il calo interessa tutto il territorio su base sia congiunturale (Sud -9,5%, Nord-Ovest -8,4%, Nord-Est -7,6%, Isole -6,3% e Centro -3,9%) sia annua (Nord-Ovest -40,6%, Centro -36,2%, Sud -32,5%, Nord-Est -30,4%, Isole -27,6%), le città metropolitane -39,5% e i piccoli centri -31,7%.

Andamento in ribasso anche nel I semestre 2023

Nel I semestre 2023 il mercato immobiliare, con 446.416 convenzioni notarili di compravendita, registra un andamento in ribasso rispetto allo stesso periodo del 2022 (-13,7%). La flessione interessa il settore abitativo (-14,4%), con variazioni negative superiori alla media nazionale nel Nord-Ovest (-19,3%) e al Centro (-17,0%), più lieve nel Nord-est -11,1%, Sud -10,2% e Isole -5,2%.

Il settore economico è stabile a livello nazionale, mentre registra un andamento differenziato per area geografica, con una crescita al Sud (+5,2%) e nel Nord-Est (+4,6%) e una contrazione al Centro (-4,2%), nel Nord-Ovest (-3,1%) e nelle Isole (-1,8%).
Le convenzioni notarili per mutui, finanziamenti e altre obbligazioni con costituzione di ipoteca immobiliare (152.094 nel I semestre 2023) sono in forte calo (-33,3%).
Soprattutto al Nord-ovest (-38,7%) e al Centro (-35,1%), più contenuta al Sud -29,2%, Nord-Est -28,1% e Isole -26,6%.

Lavoro: cambia la relazione con il reddito e i propri interessi

Fra il terzo trimestre 2022 e il terzo trimestre 2023 l’occupazione in Italia è aumentata di 470.000 unità. Tutti gli indicatori che riguardano le componenti dell’occupazione, dipendente e indipendente, mostrano un segno positivo. Il solo segno negativo è riconducibile a contratti di lavoro a termine, che si riducono in dodici mesi di 89.000 unità (-2,9%).

Ma per il 62,7% degli italiani il lavoro non è centrale nella vita. E il 76,2% dei giovani scambierebbe solo a caro prezzo un’ora di tempo libero con un’ora di lavoro. 
Per l’80% degli occupati in passato si è chiesto troppo a chi lavora. Ora è giusto pensare di più a sé stessi. È quanto emerge dal Rapporto ‘Il senso del lavoro nella comunità produttiva e urbana di Bologna’, realizzato dal Censis con la collaborazione di Philip Morris.

Il lavoro invecchia

D’altra parte, nel giro di dieci anni, fra il 2012 e il 2022, la base occupazionale formata da giovani con un’età compresa fra 15 e 34 anni si è ridotta di circa 360.000 unità, mentre i lavoratori con almeno 50 anni sono aumentati di 2,7 milioni. 

Inoltre, la mancata partecipazione al mercato del lavoro conta oggi 12 milioni e 434.000 persone (quasi otto milioni donne), che pur essendo in età lavorativa, non lavorano e non sono alla ricerca di un lavoro.
Quasi dieci italiani su cento dichiarano di non partecipare al mercato del lavoro perché scoraggiati dagli esiti negativi della ricerca di un lavoro (prevalentemente donne).

Lavorare per vivere, non vivere per lavorare

Tre quarti degli italiani (76,1%) condividono l’affermazione secondo la quale in Italia il lavoro c’è, ma è poco qualificato e sottopagato.
Il 76,2% dei giovani è convinto che un impegno aggiuntivo di un’ora di lavoro deve avere un compenso tale da giustificare la rinuncia a un’ora di tempo libero, e l’80% degli italiani occupati vede nel lavoro un fattore, che soprattutto in passato, ha portato a trascurare gli interessi personali, tanto da porre il proprio benessere in secondo piano (79,8% giovani, 80,8% 35-64enni).

Fra chi è alla ricerca di un nuovo lavoro, il 36,2% indica come motivazione principale ottenere un guadagno più elevato rispetto a quello corrente, per il 36,1% la ricerca di un nuovo lavoro è stimolata dalla necessità di vedere riconosciuto il livello di competenze acquisito e da una maggiore prospettiva di carriera.

Il senso del lavoro

Il profilo di ciò che rappresenta il lavoro per i dipendenti può essere evidenziato attraverso tre elementi.
Il primo è il lavoro come diritto, ma anche come contributo personale a qualcosa che supera i confini del posto di lavoro e trova un riscontro anche nella collettività (lo afferma un dipendente su quattro).

Il secondo, è il lavoro come fattore di indipendenza (43,2%), con particolare rilevanza per la componente femminile dell’occupazione (57,6%).
Il terzo, il lavoro come fattore di sicurezza economica (41,1%), che possa però essere svolto in un ambiente lavorativo meritocratico (48,6%).

Abbigliamento, chiusi 9mila negozi. Gli italiani comprano sempre più online

È la fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere: negli ultimi cinque anni il numero di negozi di abbigliamento in Italia è sceso di oltre 9mila unità, attestandosi, al 30 settembre scorso, leggermente al di sopra dei 78.000 esercizi commerciali.

Una frenata che ha inciso pesantemente sulle imprese individuali, pari al 53% del totale del comparto, che tra il 2019 e il 2023 hanno registrato una diminuzione superiore al 12%, ovvero, -5.891 unità in termini assoluti.
Si tratta di una dinamica, che secondo l’associazione delle Camere di commercio guidata da Andrea Prete, riflette anche la forte crescita del commercio online. Sono infatti sempre di più gli italiani che fanno i loro acquisti sulle apposite piattaforme dedicate.

Un’Italia con meno vetrine

Mediamente, il bilancio tra aperture e chiusure di attività nel commercio di articoli di abbigliamento in esercizi specializzati è quantificabile in una riduzione di quasi l’11%.
Insomma, pandemia, cambiamenti nelle abitudini di consumo e fiammate inflazionistiche stanno mettendo a dura prova i negozi di abbigliamento lungo lo stivale. 

E a livello territoriale l’immagine è di un’Italia con meno vetrine in tutte le venti regioni, a eccezione di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, dove si conta una variazione negativa più contenuta in termini percentuali.

A Roma, Ancona, Ferrara e Rieti diminuzioni superiori al 20%

In tutte le altre regioni, a partire da Lazio, Marche, Toscana e Friuli Venezia Giulia, si registrano perdite superiori al 10%.
Lazio, Lombardia e Toscana sono invece le regioni in cui la contrazione degli esercizi è maggiore in termini assoluti. Le tre regioni, infatti, determinano quasi la metà della variazione negativa registrata a livello nazionale: -4.272 attività nel periodo in esame, pari al 46% del totale.

A livello provinciale, le variazioni percentuali più importanti si registrano al Centro-Nord.
A Roma, Ancona, Ferrara e Rieti per il commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento si contano diminuzioni superiori al 20% nell’arco dell’intero periodo considerato.

Imprese under35, “rosa” e straniere più colpite

Qualche nota positiva arriva dal Sud, dove Crotone, Ragusa e Siracusa sono le uniche province in cui la variazione di attività dell’abbigliamento nel quinquennio è positiva, rispettivamente, +1,6% e +0,5%.
Ma il declino nei cinque anni ha interessato fortemente le componenti femminili e giovanili.

Rispettivamente, è di oltre 4.700 e 2.500 negozi la perdita registrata nel settore in termini assoluti, corrispondente a una variazione percentuale negativa pari al 10% per le imprese ‘rosa’ e oltre il 26% per quelle under35.
Uno scenario sempre negativo, ma meno significativo in termini assoluti, risulta quello delle imprese straniere (10% sul totale del settore), dove sono state estromesse per sempre dal mercato circa 1.000 attività (-10,4% nel periodo).

Coldiretti: ecco la black list dei prodotti alimentari più contaminati 

È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti, condotta sulla base delle elaborazioni del sistema di allerta Rapido (Rassf), e diffusa in occasione dell’apertura del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione: alcuni cibi contaminati e pericolosi per la sicurezza alimentare rischiano di finire nel carrello degli italiani in cerca di risparmio.

Nel 2022, sul totale dei 317 allarmi rilevati, 106 riguardavano importazioni da stati dell’Unione Europea (33%), 167 da Paesi extracomunitari (53%) e solo 44 (14%) erano prodotti con origine nazionale.
In pratica, oltre otto prodotti contaminati su dieci provengono dall’estero (86%), in particolare, fichi turchi, pistacchi iraniani, spezie indiane e litchi cinesi.

Dai fichi secchi turchi al pollo polacco: attenti a tossine, batteri e pesticidi

I pericoli maggiori per la salute dei consumatori italiani provengono dai fichi secchi della Turchia, contaminati dalle aflatossine, dal pesce spagnolo, per l’alto contenuto di mercurio, dalla carne di pollo polacca, contaminata da salmonella, e da cozze e vongole spagnole, sempre con salmonella insieme al batterio dell’escherichia coli.

Molto pericolosi anche i pistacchi di Turchia, Iran e Stati Uniti per l’elevato contenuto di aflatossine cancerogene, erbe e spezie indiane e litchi cinesi, per la presenza di pesticidi oltre i limiti consentiti, e anche ostriche francesi al norovirus, che provoca violente gastroenteriti.
È un’emergenza che non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo, ma che si estende anche a quelli più ricchi.

Cibi stranieri oltre dieci volte più pericolosi di quelli italiani

Insomma, cibi e bevande straniere sono oltre dieci volte più pericolosi di quelli Made in Italy, con il numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari oltre i limiti di legge pari al 6,4% del totale, rispetto alla media dello 0,6% dei campioni di origine nazionale.

In caso di allarme alimentare le maggiori preoccupazioni sono però determinate dalla difficoltà di rintracciare rapidamente i prodotti a rischio per toglierli dal commercio. Con il rischio di generare un calo di fiducia che provoca il taglio generalizzato dei consumi, e che spesso mette in difficoltà interi comparti economici.

Indicare la provenienza anche di vegetali, semi e funghi in busta

Grazie alla battaglia della Coldiretti arriva l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine anche per frutta e verdura in busta, noci, mandorle, nocciole e altri frutti sgusciati, agrumi secchi, fichi secchi e uva secca, funghi non coltivati e zafferano.

Un risultato ottenuto con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’UE del regolamento delegato 2023/2429, che avrà piena attuazione a partire dal 1° gennaio 2025.
Tuttavia, la provenienza resta sconosciuta in diversi casi: dai succhi di frutta alle marmellate, dai legumi in scatola al pane fino ai biscotti, senza dimenticare l’esigenza di arrivare anche nei ristoranti a indicare la provenienza della carne e del pesce serviti a tavola.

Mutui: dalla BCE stop ai rialzi. Rate ferme a +294 euro 

I dati arrivano dall’analisi di Facile.it e Mutui.it: con la decisione da parte della Bce di arrestare il rialzo ai tassi di interesse, l’aumento sulle rate dei mutui variabili italiani dovrebbe fermarsi a +294 euro rispetto a gennaio 2022.
L’analisi è stata realizzata sulla simulazione di un finanziamento a tasso variabile di 126.000 euro in 25 anni, LTV 70%, Tan iniziale 0,67% (Euribor3m+1,25%).
Analizzando un mutuo medio variabile la rata mensile è infatti passata da 456 euro di gennaio 2022 ai 750 euro di oggi, in aumento del 64%.
Sommando i rincari mensili, l’esborso aggiuntivo per i mutuatari è stato addirittura superiore ai 2.850 euro.
Con la fine degli aumenti i mutuatari potranno quindi tirare un parziale sospiro di sollievo, ma la pressione sulle famiglie resta elevata, e prima di vedere un calo bisognerà aspettare il 2024.

Dal 2024 inizia il calo?

Guardando alle aspettative di mercato (Futures sugli Euribor a 3 mesi aggiornate al 23 ottobre 2023) bisognerà aspettare il 2024 per vedere i primi segnali di calo.
A ottobre l’indice Euribor a 3 mesi si è mosso intorno al 3,95%, e secondo le previsioni, a marzo 2024 dovrebbe scendere a 3,93%, per poi arrivare a 3,75% a giugno, e 3,35% a dicembre 2024.
Se ciò avvenisse, la rata del mutuo medio presa in esame a marzo 2024 resterebbe uguale a quella di oggi (750 euro), per poi scendere a 737 euro a giugno e a 708 euro a dicembre 2024.

Fisso o variabile, quale scegliere oggi?

Ma per chi è alle prese con l’acquisto della casa e alla ricerca di un mutuo, quale tasso conviene sottoscrivere?
Secondo le simulazioni di Facile.it, prendendo in considerazione il mutuo standard utilizzato nell’analisi, i migliori tassi fissi (TAN) disponibili oggi online partono dal 3,79%, corrispondenti a una rata di 651 euro, mentre per un mutuo variabile la migliore offerta parte da un TAN di 4,71%, con una rata di 709 euro.

“Bisogna avere le spalle larghe per i momenti di difficoltà dei mercati”

“Non esiste in assoluto una scelta migliore di un’altra riguardo alla tipologia di tasso e le variabili da tenere in considerazione sono molte e soggettive – spiegano gli esperti di Facile.it -. Per chi non vuole rischiare la soluzione più adatta è il tasso fisso, che a oggi non solo garantisce la stabilità della rata, ma risulta anche più conveniente rispetto alla cedola di partenza un mutuo variabile. Chi, invece, è più incline al rischio e dispone di una maggiore capacità reddituale potrebbe optare per un tasso variabile. Si tratta di fare una piccola scommessa, ovvero che a partire dal nuovo anno le rate comincino a frenare la loro ascesa e poi a inizino scendere. Sul lungo periodo, in effetti, i tassi variabili si sono dimostrati nella maggior parte dei casi più convenienti, ma bisogna avere le spalle larghe per i momenti di difficoltà dei mercati”.

Dal mercato immobiliare inequivocabili segnali di “appannamento”

È quanto emerge dal 2° Osservatorio sul Mercato Immobiliare 2023 di Nomisma: il mercato immobiliare italiano mostra inequivocabili segnali di appannamento. All’interno dello scenario macroeconomico le famiglie si trovano improvvisamente più fragili, con una propensione al risparmio crollata su valori nuovamente esigui. A ciò si accompagna il continuo rialzo dei tassi d’interesse, che preclude a molti la possibilità di accedere al necessario sostegno creditizio. La conseguenza dell’accresciuta rischiosità associata dalle banche agli impieghi immobiliari porta a un calo delle erogazioni, con inevitabili ricadute sull’attività transattiva in tutti i comparti. Nel primo semestre 2023 la risposta dei valori immobiliari è improntata alla rigidità: +1% per le abitazioni. E l‘andamento dell’inflazione fa sì che l’incremento non sia riuscito a garantire un’effettiva salvaguardia in termini reali.

Calano i prezzi a Venezia, non a Milano 

La lieve variazione positiva che investe i valori immobiliari delle abitazioni è piuttosto l’esito di aspettative di crescita dei prezzi da parte dell’offerta. Questo suggerisce la presenza sul mercato di una domanda ancora disponibile a interiorizzare gli aumenti imposti dalla parte offerente.
Tuttavia, all’interno dei vari mercati, l’andamento dei valori mostra differenze dovute principalmente allo sfasamento temporale che caratterizza le fasi di inversione del ciclo immobiliare. Ad esempio, se a Venezia Laguna i prezzi calano per il terzo semestre consecutivo, a Milano la variazione risulta doppia rispetto a quella media (+2,2% semestrale). Inoltre, l’indagine evidenzia come in media per vendere un’abitazione siano necessari 5,2 mesi. 

Locazioni a +1,7%

Considerando invece il mercato della locazione, emerge una crescita per il quarto semestre consecutivo (+1,7%).  Complessivamente le abitazioni locate nel 2022 ammontano a poco meno del 6% dello stock disponibile. Nello specifico, le locazioni di medio-lungo periodo segna una flessione di oltre il 4% per i contratti ordinari e -1,5% per quelli di tipo agevolato. La componente di breve periodo, al contrario, aumenta del +0,6% gli immobili locati a canone libero.  Le variazioni più importanti riguardano Bologna (+3,7%), Cagliari, Catania, Padova e Torino (+2%).  L’aumento più sostenuto dei canoni ha comportato un innalzamento dei rendimenti medi, che in media sono dell’ordine del 5,2% lordo annuo.

Crollano gli investimenti stranieri

La domanda composta da famiglie, lavoratori, studenti e turisti compete a un’offerta privata troppo esigua e sempre più orientata a privilegiare soluzioni più remunerative, come gli affitti brevi.
Gli investitori istituzionali potrebbero coprire almeno in parte il fabbisogno in locazione, anche se al momento continuano a manifestare un interesse decisamente tiepido verso il settore residenziale.
Quanto alla componente corporate l’orientamento è improntato alla prudenza da parte degli investitori stranieri. Che determina un crollo degli investimenti, passati dai 6,2 miliardi di euro del primo semestre 2022 ad appena 2 miliardi di euro nel primo semestre 2023. 

Le bevande analcoliche? In Italia ci sono 100 stabilimenti e 84mila addetti 

Un’industria con radici storiche e tradizione italiana, ma orientata verso l’innovazione. Resiliente e laboriosa, profondamente legata al territorio e ai suoi sapori e profumi, accompagna da sempre la vita degli italiani con prodotti che rappresentano il Made in Italy nel mondo, creando occupazione e indotto. Questa è la descrizione di un settore, quello delle bevande analcoliche in Italia, che emerge durante l’Assemblea annuale di Assobibe, l’Associazione di Confindustria che rappresenta il comparto nel paese, con il tema “Socialità, gusto e tradizione Made in Italy nel mondo: il valore delle bevande analcoliche”.
L’evento ha visto la presentazione della ricerca “Bevande analcoliche: immagine, valore, tradizione e significato” realizzata da Euromedia Research per Assobibe. 

5 miliardi di euro di valore

L’industria delle bevande analcoliche è presente in Italia con circa 100 stabilimenti, tra multinazionali radicate nel territorio e piccole e medie imprese, che impiegano complessivamente 84.000 persone e generano un valore di mercato di 5 miliardi di euro. Ogni euro di valore prodotto dalle imprese del settore genera 5,4 euro lungo la filiera e per ogni lavoratore impiegato nelle aziende di produzione si creano 14 posti di lavoro indiretti (3 a monte e 11 a valle). È un settore saldamente radicato nel territorio che esporta prodotti per un valore complessivo di 421 milioni di euro.

Vicini agli italiani nei momenti di relax e di festa

“Il nostro settore, come emerge dalla ricerca che stiamo presentando oggi, rappresenta una componente importante del tessuto produttivo e sociale del nostro paese”, dichiara Giangiacomo Pierini, Presidente di Assobibe. “Le nostre imprese portano lavoro e crescita al territorio e i nostri prodotti rappresentano la tradizione e il gusto Made in Italy nel mondo. Siamo sempre stati al fianco degli italiani nei momenti di festa, relax e vacanza; soddisfiamo la loro sete di spensieratezza e socialità e per questo dobbiamo essere in grado di guardare avanti, investire e continuare a offrire prodotti che incontrino i gusti dei consumatori, che permettano loro di ritrovare i propri ricordi e le proprie radici, ma in modo sempre nuovo”.

Sono un’espressione della tradizione tricolore

Secondo la ricerca di Euromedia Research per Assobibe, oltre il 78% degli italiani riconosce le bevande analcoliche come espressione della tradizione italiana e ritiene che contribuiscano a valorizzare il Made in Italy nel mondo. Quasi il 90% degli italiani ritiene importante la presenza delle imprese del settore sul territorio per lo sviluppo e l’occupazione che generano.
“Agli italiani piace stare insieme, sono un popolo conviviale ricco di tradizioni”, spiega Alessandra Ghisleri, Direttrice di Euromedia Research, presentando i dati della ricerca. “In questo contesto, le bevande analcoliche svolgono un ruolo fondamentale come trait d’union tra le persone e simboleggiano ricordi felici dei momenti più belli della vita. Sono un simbolo di festa per giovani e adulti. Dalle celebrazioni di compleanno alle estati con gli amici, dai pranzi alle cene in compagnia, le bevande analcoliche sono sempre presenti, in una forma o nell’altra”.

Cola e aranciata le preferite

La ricerca analizza anche i gusti degli italiani e il loro rapporto con le bevande analcoliche. Emerge che in Italia si consumano prevalentemente cola, aranciata, tonica, tè freddo, aperitivi analcolici, chinotti e bevande gassate. Per l’85% degli intervistati, le pause relax e i momenti di festa e convivialità hanno il sapore di una bevanda, anche se i consumi sono moderati: l’80% degli italiani beve 1-2 bicchieri solo occasionalmente. Oltre il 70% è soddisfatto dell’offerta di bevande “zero” (senza zucchero, caffeina, teina), che secondo il 64,4% degli intervistati, favoriscono un consumo più consapevole in termini di apporto calorico.

Lavoro: a giugno 568mila assunzioni previste dalle imprese 

A delineare lo scenario per la domanda di lavoro nel trimestre estivo è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal. Turismo e manifatturiero (rispettivamente con oltre +7mila e +4mila assunzioni) sostengono la domanda di lavoro, mentre registrano una flessione costruzioni, servizi alle persone, servizi finanziari e assicurativi, e servizi informatici e delle telecomunicazioni. Più in generale, a giugno sono circa 568mila le assunzioni a tempo determinato o indeterminato previste dalle imprese, e quasi 1,4 milioni tra giugno e agosto. Si tratta di oltre 9mila unità in più rispetto a giugno 2022 (+1,5%) e circa +37mila sul trimestre corrispondente (+2,8%).
Anche per giugno però si conferma elevata la difficoltà di reperimento del personale. Sono difficili da reperire quasi la metà dei lavoratori ricercati (+6,8%).

L’industria cerca 348mila lavoratori entro agosto

Nel suo complesso a giugno l’industria ricerca circa 134mila lavoratori, e 348mila nel trimestre giugno-agosto. Per il manifatturiero (89mila lavoratori nel mese e 237mila nel trimestre) le maggiori opportunità di lavoro riguardano le industrie della meccatronica, che ricercano 22mila lavoratori nel mese e 58mila nel trimestre. Seguono le industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (circa 18mila e 45mila) e quelle alimentari (13mila e 46mila). Per il settore delle costruzioni sono programmate 44mila assunzioni nel mese e circa 111mila assunzioni nel trimestre. Sono invece 434mila i contratti di lavoro previsti dal settore dei servizi nel mese in corso, e oltre 1 milione quelli per il trimestre giugno-agosto.

Il turismo traina la domanda, e più contratti a tempo indeterminato 

Ed è il turismo a offrire le maggiori opportunità di occupazione, con oltre 164mila lavoratori ricercati nel mese e circa 353mila nel trimestre, seguito dal comparto dei servizi alle persone (71mila e 165mila) e dal commercio (69mila e 171mila). In aumento poi la previsione per i contratti a tempo indeterminato (+14,8 %), anche come effetto dell’elevata difficoltà di reperimento del personale, mentre meno rilevante è l’incremento per i contratti a termine e stagionali (+ 2,3%). Diminuiscono invece le previsioni per i contratti di collaborazione occasionale e a partita IVA (-40,5%), e i contratti in somministrazione (-2,9%).
Ma cresce ancora la domanda di lavoratori immigrati, con 114mila ingressi programmati nel mese (+18mila), pari al 20,1% del totale.

Ancora elevato il mismatch: il 46,0% del personale non si trova 

La difficoltà di reperimento conferma il dato elevato di maggio, attestandosi al 46,0%. Il Borsino delle professioni del Sistema Informativo Excelsior segnala difficile reperimento tra le professioni tecniche e ad elevata specializzazione: specialisti nelle scienze della vita (80,3%), tecnici in campo ingegneristico (68,9%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (68,5%). Tra le figure degli operai specializzati si distinguono gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (72,5%) e fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (70,7%). Sotto il profilo territoriale, il mismatch è più elevato per le imprese nel Nord-Est, per le quali sono difficili da reperire circa il 52% dei profili ricercati. Seguono le imprese del Nord-Ovest (47,1%), del Sud e Isole (42,5%), e del Centro (42,4%).

Gli italiani e l’Europa, che rapporto c’è?

Il 9 maggio di ogni anno si celebra la Giornata dell’Europa, una festa che celebra la pace e l’unità in Europa. In vista di questo evento nel 2023, Ipsos ha condotto una ricerca sulle opinioni degli italiani riguardo all’Unione Europea. Nonostante la fiducia degli italiani nell’UE sia diminuita negli ultimi anni, il rapporto tra l’Italia e l’UE non sembra essere compromesso. Molti italiani ritengono l’appartenenza dell’Italia all’Unione una cosa positiva (più di quattro su 10) e la maggioranza degli intervistati si esprimerebbe a favore del remain in caso di un referendum sull’uscita dell’Italia dall’UE o dall’euro.

Quali sono gli aspetti critici secondo gli italiani

Tuttavia, molti italiani hanno una visione critica dell’UE e delle sue istituzioni. Le istituzioni europee sono percepite come “lontane” dal 51% degli intervistati e troppo influenzate da Francia e Germania. Gli italiani si aspettano che l’UE evolva in un vero stato federale europeo, in modo da diventare più funzionale. Gli “Stati Uniti d’Europa” sono la chiave per far funzionare davvero l’UE secondo il 54% del campione (il 23% si dichiara invece in disaccordo). 

Una gestione unitaria sui grandi temi

Uno Stato federale che dovrebbe mettere al centro innanzitutto una gestione unitaria dell’immigrazione (il 31% la indica come una delle priorità europee) e una comune lotta al cambiamento climatico (29%). Anche sul conflitto in Ucraina occorrerebbe un cambio di passo: per il 54% gli Stati membri dell’Unione dovrebbero sviluppare una posizione politica comune tra loro, anche distinta dagli Stati Uniti se necessario a favorire la pace (il 21% ritiene invece che dovrebbero mantenere il più possibile una linea comune con gli Stati Uniti, il 25% non si esprime).

I passi da fare e il futuro

In generale, l’UE non entusiasma molti italiani, ma la maggioranza riconosce che l’Italia avrebbe meno importanza nel mondo se dovesse uscire dall’Unione Europea. L’UE potrebbe fare molti passi avanti per riconquistare il cuore degli italiani e diventare un’istituzione più amata. Per quanto concerne il futuro dell’Ue, prevale un certo scetticismo. Alla richiesta di immaginare l’Unione Europea tra dieci o vent’anni gli italiani si dividono sostanzialmente in tre blocchi: il 25% ritiene che l’UE sarà più forte e solida rispetto ad oggi, una percentuale identica pensa invece che si andrà nella direzione opposta (un’Unione più debole e divisa). Il restante 50% ritiene che non ci saranno grandi cambiamenti (21%) o non ha un’opinione a riguardo (29%).