Il brand Amazon perde valore, ma supera Apple

Nonostante il valore di Amazon nel 2022 abbia perso il 15%, passando da 350,3 miliardi di dollari a 299,3 miliardi di dollari, secondo il rapporto della società di consulenza britannica Brand Finance questo è bastato per superare Apple, il gruppo con sede a Cupertino. Di fatto, Amazon sorpassa Apple come brand con maggior valore a livello mondiale e riconquista il primo posto. Il valore del marchio Apple perde infatti il 16% passa da 355,1 miliardi a 297,5 miliardi di dollari. Ma nell’ultimo anno il marchio del brand del gruppo fondato da Jeff Bezos è diminuito di oltre 50 miliardi di dollari, perché ora “i consumatori lo valutano più negativamente nel mondo post pandemia”, spiega la società Brand Finance.

La crisi dei marchi tecnologici

In particolare, la percezione del servizio clienti su Amazon è diminuita contemporaneamente all’allungamento dei tempi di consegna, Inoltre, con la fine della pandemia, “i consumatori stanno tornando a fare acquisti di persona riducendo leggermente la necessità di e-commerce”, rileva ancora la società. Tra i marchi tecnologici che hanno perso valore figurano anche Samsung Group, il cui valore del marchio è in calo del 7% a 99,7 miliardi di dollari) Alibaba.com (-56%, 10 miliardi dollari), Facebook (-42%, 59 miliardi di dollari) e WeChat (19%, 50,2 miliardi di dollari). Crescono invece i marchi Instagram (+42% a 47,4 miliardi di dollari) e LinkedIn (+49% a 15,5 miliardi di dollari). Tra i marchi in crescita c’è anche Tesla (+44% a 66,2 miliardi di dollari) e Byd (+57% a 10,1 miliardi di dollari).

“Una risposta ai mutevoli andamenti della domanda”

“I marchi tecnologici di tutto il mondo – commenta David Haigh, Presidente e Ceo di Brand Finance – hanno perso un valore significativo in risposta ai mutevoli andamenti della domanda. L’inflazione ha colpito i marchi in molti settori, ma poiché le abitudini dei consumatori sono parzialmente tornate ai modelli pre pandemia, la domanda di servizi dei marchi tecnologici è stata colpita in modo particolarmente duro. Inoltre, le catene di approvvigionamento interrotte, la carenza di manodopera e i maggiori ostacoli al finanziamento hanno lasciato il segno”, riferisce Adnkronos.

Si indeboliscono immagine e reputazione di molti brand tech

“Il crollo delle aziende tecnologiche – aggiunge a Forbes Massimo Pizzo managing director Italia di Brand Finance – non è solo dovuto a fattori come l’innalzamento dei tassi, l’inflazione, la guerra o l’energia: dalle nostre analisi risulta esserci un indebolimento dell’immagine e della reputazione di molti brand del comparto. Come se dopo la pandemia l’amore e l’entusiasmo per la tecnologia abbia perso vigore. Da anni non si vedono più innovazioni in grado di sedurre i clienti e i contenuti dei messaggi sono sostanzialmente sempre gli stessi. Anche la tecnologia, come le telecomunicazioni, rischia di diventare una commodity. Sembra chiaramente arrivato il momento anche per le big tech di mettere in discussione la propria strategia per non perdere ulteriormente il favore dei consumatori”.

Stare tra le piante fa bene all’umore e alla salute

Da sempre le piante hanno il potere di guarire i problemi del corpo e anche dell’anima. A tutti sarà capitato, dopo aver osservato un bel giardino, un albero frondoso o un fiore, di sentirsi subito meglio. E la scienza conferma che l’interazione con le piante – anche solo da spettatori – è benefica per la salute fisica e mentale. Sono tante le buone ragioni per inserire nel proprio appartamento – meglio ancora se si ha un balcone, un terrazzo o un giardino – delle piante verdi. Vediamo i principali motivi per cui bisogna aprire le porte alle piante.

Migliore qualità dell’aria

Le piante da interno sono bellissime in ogni casa o ufficio e aiutano anche a mantenere l’aria salubre. Secondo recenti studi, la maggior parte di chi vive in città trascorre il proprio tempo al chiuso, dove l’inquinamento atmosferico può essere di molto superiore a quello presente all’aperto. Se l’aria in casa non è pulita, possono insorgere diversi disturbi, come mal di testa, vertigini, perdita di concentrazione e irritazione alla gola. Le piante, anche quelle comuni da appartamento, sono preziose alleate nell’eliminare le tossine dall’aria che si respira.

Diminuisce il rischio di ammalarsi

Le piante d’appartamento aumentano i livelli di comfort nelle stanze e diminuiscono il rischio di ammalarsi. Ad esempio, uno studio della Washington State University ha rilevato che le piante riducono la polvere nei locali domestici fino al 20%. L’analisi  conferma che le piante possono rimuovere con successo il particolato dall’aria, oltre che regalare quel minimo di umidità che contrasta il mal di gola tipico degli ambienti secchi. Gli studi hanno anche evidenziato una relazione tra le piante da interno e la salute mentale, incluso il supporto che possono apportare ai pazienti in ospedale.  Ad esempio, uno studio del 2009 ha rilevato che i pazienti che trascorrevano la degenza in stanze d’ospedale con piante e fiori presentavano una pressione sanguigna più bassa, una maggiore tolleranza al dolore, poca ansia e minore affaticamento rispetto ai pazienti che stavano in reparti senza verde. 

Si allenta lo stress

Gli esseri umani si sentono più felici e più ottimisti in un ambiente ricco di piante e fiori. Questi evocano emozioni positive. Basta un solo vaso di verde sul davanzale della finestra di casa per creare un ambiente più rilassante. Ancora, prendersi cura di fiori e alberi ha un effetto benefico a livello fisici, perchè  il giardinaggio aumenta i livelli serotonina, che migliora l’umore e riduce l’ansia.

Lombardi, aumentano le richieste di prestiti per le vacanze

In vacanza sì, ma con il prestito. I lombardi non rinunciano alle agognate ferie, ma si fanno aiutare da un finanziamento. La voglia di viaggiare, nel 2022, è stata forte soprattutto nel periodo invernale, tanto che, secondo i calcoli fatti da Facile.it prendendo in considerazione un campione di oltre 17.000 casi, nel periodo settembre – novembre 2022, le richieste di prestiti personali compilate online per viaggi e vacanze sono aumentate del 48% rispetto al medesimo intervallo temporale del 2021. Un altro dato interessante riguarda l’età media del richiedente, che si abbassa ulteriormente. Nel periodo preso in esame, infatti, è passata da 35 a 33 anni. Grazie all’incremento delle richieste per viaggi e vacanze, il loro peso relativo rispetto al totale di quelle presentate in Lombardia passa dall’1,1% all’1,3%, (+ 22,7%). A livello complessivo, l’importo medio che i lombardi hanno richiesto alle finanziarie per i prestiti personali è passato dai 10.839 euro del periodo settembre – novembre 2021 agli 11.429 euro degli stessi mesi del 2022 (+5,4%). Si tratta di un deciso incremento per soddisfare esigenze anche diverse, come si evince dai dati sottostanti.

Per che cosa chiedono i prestiti i lombardi
Quali sono le principali finalità per le quali si chiede un prestito personale in Lombardia? Secondo l’analisi di Facile.it al primo posto resiste saldamente l’ottenimento di liquidità (che rappresenta il 32,4% del totale richieste), seguita dall’acquisto di auto usate (17,1% del totale, ma in calo del 10,3% rispetto ad un anno fa nel suo peso sul totale richieste) ed il consolidamento debiti (14,7%; +28,2% se confrontata con il valore 2021). Presentano invece percentuali negative le altre voci appena fuori dal podio, che appaiono in negativo rispetto l’anno precedente. Queste sono la ristrutturazione immobili (10,09%; -21,1%), l’acquisto di arredi (6,5%; -12,3%) e le spese mediche (4,4%; -2,7%).

Prestiti per Formazione e Università quelli con maggior crescita sul totale 

E’ interessante anche notare quali siano i finanziamenti che sono cresciuti di più per “destinazione” di utilizzo. In merito alle finalità che, dalla fine del 2021 alla fine del 2022, hanno accresciuto maggiormente il loro peso sul totale delle richieste presentate in Lombardia, al primo posto troviamo i prestiti per Formazione ed Università (+39,9%) seguiti da quelli per finanziare il consolidamento dei debiti (28,2%), l’acquisto di viaggi e vacanze (+22,7%) e quello di PC e strumenti elettronici (+16,6%).

Meglio la vasca con sportello o la doccia per disabili?

Nel momento in cui in casa è presente una persona anziana o che presenta una disabilità motoria, solitamente si pensa a quali soluzioni sia possibile adottare per rendergli la vita più semplice.

Certamente uno dei primi accorgimenti è quello che riguarda il bagno ed in particolare il sistema con il quale è possibile effettuare le operazioni di igiene personale.

Il dubbio che principalmente riguarda chi si occupa di dare assistenza in casa ad una persona con difficoltà motorie è se sia meglio optare per una vasca con sportello o direttamente per una doccia con disabili.

Per sciogliere questo dubbio è sufficiente effettuare un paio di considerazioni pratiche. Vediamo allora di seguito di chiarire e cercare di capire quale tra le due soluzioni potrebbe essere quella più appropriata.

Le vasche con sportello

Le vasche con sportello per anziani sono delle particolari vasche da bagno il cui accesso è reso davvero semplice grazie ad un apposito sportello (in fase d’acquisto è possibile scegliere se il movimento di apertura debba avvenire verso l’interno o verso l’esterno).

Si tratta di una soluzione che offre grande sicurezza, grazie agli appositi maniglione di sostegno, e la comodità extra di potersi adagiare sulla seduta integrata senza necessità di doversi sedere sul fondo della vasca, come avviene in quelle tradizionali.

Tra l’altro la particolare inclinazione della seduta integrata fa sì che lo scivolamento involontario in avanti non possa avvenire, aumentando dunque il livello di sicurezza.

Esiste inoltre la possibilità di richiedere determinati optional che aumentano il livello di comfort,  tra questi l’idromassaggio e al cromoterapia.

I box doccia

I box doccia di tipo tradizionale non offrono un adeguato livello di sicurezza.

Il primo pericolo è costituito certamente dal gradino che bisogna superare per poter accedere alla doccia, mentre la seconda insidia è rappresentata dal pericolo scivolamento.

Per questo motivo i box doccia per anziani devono essere realizzati a filo pavimento, evitando così qualsiasi possibilità di inciampare o scivolare.

Anche in questo caso possibile per vedere delle apposite maniglie di sostegno.

Cosa scegliere dunque?

Bisogna dire che la scelta è soprattutto personale, sulla base delle specifiche esigenze dell’individuo interessato da difficoltà a deambulare.

Ad ogni modo, le vasche con sportello per anziani probabilmente rappresentano l’opzione più comoda e sicura anche per quanti si trovano sulla carrozzina.

Dunque si tratta di una soluzione che offre maggiore autonomia e che per questo potrebbe essere preferibile alla doccia, soprattutto nel caso di persone non autosufficienti.

Tra l’altro, nel caso in cui le operazioni di pulizia necessitino dell’aiuto da parte di un assistente, in una vasca da bagno non ci saranno i getti d’acqua tipici di una doccia e per questo motivo la persona eviterà di bagnarsi.

Tra l’altro la comoda seduta consente di poter prolungare il bagno quanto si desidera, e aumentare così il livello di comfort e benessere percepiti.

In breve

Dunque, sebbene ogni situazione sia differente dall’altra, al variare dell’autonomia della persona in questione, di base potremmo dire che le vasche con sportello sono da preferire rispetto i box doccia quando in casa è presente una persona con difficoltà motorie.

Cambia certamente tanto a livello di comodità di utilizzo e ritrovata autonomia per la persona, ma ci sono significativi miglioramenti anche per quel che riguarda gli sforzi che l’eventuale persona che offre assistenza deve produrre.

Grazie ad una vasca da bagno per anziani infatti, le operazioni di entrata e uscita dalla vasca stessa sono molto più semplici e dunque non è più necessario dover effettuare particolari sforzi fisici per agevolare gli spostamenti da e per la vasca.

Da guerra a siccità le parole che definiscono il mondo nel 2022

Gli eventi che hanno contraddistinto il 2022 sono stati accompagnati da terminologia ed espressioni specifiche entrate poi a far parte del dibattito pubblico. E gli esperti di Babbel propongono l’annuale retrospettiva linguistica attraverso l’analisi di alcune parole protagoniste dell’anno trascorso.
Il 2022 è stato un anno colmo di avvenimenti, le cui implicazioni si sono spesso avvertite anche a livello internazionale, dall’invasione dell’Ucraina, all’inflazione alla siccità, quest’ultima, un chiaro segnale dell’aggravarsi della crisi climatica. Termini come ‘guerra’ e ‘invasione’ sono stati utilizzati frequentemente nei giornali italiani. La parola invasione descrive l’irruzione, da parte delle forze armate di uno Stato belligerante, all’interno di un territorio non appartenente a esso. Il termine suggerisce motivazioni illegittime e attitudini violente.

Inflazione e Digital Nomads

Il termine inflazione, derivante dal latino inflatio, ‘gonfiatura’, indica in economia l’aumento prolungato e costante del livello medio generale dei prezzi in un dato lasso di tempo, determinante una diminuzione del potere d’acquisto della moneta. L’inflazione ha investito molti Paesi, inclusa l’Italia, catalizzando l’attenzione dei media e del dibattito pubblico.
E se nelle retrospettive linguistiche di Babbel degli anni passati si potevano citare termini come ‘no-vax’ e ‘green pass’, le parole che emergono quest’anno dipingono uno scenario differente, più in linea con ciò che ci si potrebbe aspettare in un mondo post-pandemico. Parole, come ad esempio, Digital Nomads, ‘nomadi digitali’, ovvero chi, rinunciando a una residenza fissa, sceglie di spostarsi di frequente e lavorare primariamente online.

Great Resignation e Sleepcation

L’insorgere della pandemia e la conseguente precarietà lavorativa hanno indotto numerosi dipendenti a riconsiderare le proprie priorità. Tale fenomeno ha assunto dimensioni macroscopiche negli Stati Uniti, dove si parla di Great Resignation, ‘grande dimissione’.
Sempre in risposta a una più diffusa tendenza a voler dare priorità alla sfera privata emergono termini come ‘sleepcation’, neologismo formato dall’unione del verbo ‘to sleep’, ’dormire’ e ‘vacation’,’ vacanza’. Chi nel 2022 si concede una sleepcation decide di trascorrere le proprie ferie in un resort o un hotel allo scopo di riposarsi e recuperare il sonno perso.

La siccità in Italia

La parola ‘siccità’ deriva dal latino siccus, ‘secco’, indica la carenza di pioggia e, in generale, di umidità per un periodo di tempo prolungato, con forti ripercussioni sull’ambiente e sull’agricoltura, non solo nell’immediato. È infatti comprovata la presenza, a lungo termine, di importanti alterazioni degli ecosistemi, con intere specie vegetali ed animali a rischio. La mancanza di precipitazioni e il rialzo delle temperature per effetto del cambiamento climatico hanno causato, nell’estate del 2022, una siccità senza precedenti nella penisola, con la portata del Po ai minimi storici, riporta Askanews.
“Il nostro impegno nell’analizzare l’anno e nell’elaborare la retrospettiva ha come scopo quello di raccogliere i termini, che registrando un incremento nella frequenza di utilizzo, fotografano un cambiamento più o meno duraturo della nostra quotidianità – commenta Gianluca Pedrotti, Principal Learning Content Editor di Babbel – e possono, quindi, servire come strumento per interpretare e comprendere la società”.

Perchè partecipare alle scelte aziendali aumenta il benessere dei lavoratori?

Quando in azienda si registra un livello di partecipazione dei lavoratori sopra la media cresce anche il loro livello di benessere. Lo attesta l’indagine realizzata da NeXt Economia e Corriere della Sera Buona Notizie in collaborazione con Fim-Cisl. Inoltre, le prime 22 aziende che hanno utilizzato lo strumento di indagine BESt Work Life, elaborato da NeXt Economia, il livello medio di partecipazione è risultato pari a 1,68 punti su 5, e il livello di benessere di lavoratori e lavoratrici pari a 3,78 punti. Se si considerano solo i lavoratori e le lavoratrici che hanno un livello di partecipazione superiore a 1,68 il livello medio del BES si attesta a 4,11, registrando una differenza significativa rispetto al livello medio di 3,55 del gruppo in cui il livello di partecipazione è inferiore.

L’indice del Benessere Equo e Sostenibile

Il sistema del BESt Work Life è l’indagine sul clima organizzativo delle singole aziende collegato con il framework di riferimento nazionale del BES (Benessere Equo e Sostenibile) dell’Istat. La sua applicazione permette di fotografare la situazione in azienda inserendo i dati raccolti da lavoratori e lavoratrici all’interno dei 12 domini BES, e incrociandoli con le aree di benessere organizzativo. Questo permette di pianificare azioni per miglioramento delle condizioni di lavoro delle persone e di riflesso anche le performance economiche e finanziarie dell’azienda.

Le aziende puntano su Sicurezza, Relazioni sociali e Ambiente

Dall’indagine emerge che i domini del BES dei lavoratori e delle lavoratrici con i punteggi più alti sono Sicurezza (4,51/5), Relazioni sociali (4,02/5) e Ambiente (4,01/5), evidenziando come in questi anni l’impegno delle aziende si sia consolidato non solo sui temi della sicurezza e dell’ambiente, ma anche sull’importanza di valorizzare le relazioni tra le persone. I punteggi più bassi, dove i lavoratori e le lavoratrici si sentono meno soddisfatti, sono Benessere economico (2,87/5), Ricerca, innovazione e creatività (2,93/5), Paesaggio e patrimonio culturale (3,14/5). Oltre alla retribuzione, percepita come non sufficientemente adeguata, sono gli aspetti culturali e creativi che ancora latitano all’interno delle imprese italiane.

Ancora poca partecipazione negli ambiti economici e finanziari

Gli ambiti in cui la partecipazione di lavoratori e lavoratrici in azienda è maggiore sono Organizzazione del lavoro (2,16/5), Pianificazione dell’area di appartenenza (1,95/5), Tutela della salute, sicurezza ed ergonomia (1,90/5) e Sostenibilità ambientale (1,87/5), evidenziando quanto sia importante riconoscere e valorizzare le capacità e le competenze dei singoli nel loro ambito di lavoro. Le voci che invece presentano i valori peggiori, riferisce Adnkronos, sono Azionariato dei lavoratori (1,06/5), Investimento (1,38/5) e Andamento economico-finanziario e documenti di bilancio (1,42/5), che rimangono argomenti affrontati da nuclei ristretti di dipendenti e collaboratori.

Bonus casa: quali scadranno alla fine del 2022?

Il decreto Aiuti quater, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 novembre, prevede alcune novità sui numerosi bonus dedicati alle abitazioni attualmente in vigore. Facile.it ne ha messo in evidenza le rispettive scadenze. Per il Superbonus 110%, se inizialmente si prevedeva una detrazione del 110% delle spese sostenute, nel 2023 l’agevolazione per i condomìni passa al 90%, scenderà al 70% nel 2024 e al 65% nel 2025. La nuova norma, però, non impatta sui cantieri già avviati, per i quali l’aliquota rimarrà al 110%, mentre per le case indipendenti è stata prorogata fino al 31 marzo 2023, anche per chi entro il 30 settembre scorso ha completato il 30% degli interventi.

Bonus ristrutturazione, sisma bonus ed Ecobonus

Il bonus ristrutturazione, che prevede una detrazione del 50% su un limite massimo di spesa fino a 96.000 euro, resterà in vigore fino al 2024. In seguito, tornerà all’aliquota originale (36% su un massimo di spesa di 48.000 euro). Anche il sisma bonus (detrazione fino all’85% dell’esborso sostenuto, con un limite massimo di spesa pari a 96.000 euro), resterà in vigore fino al 31 dicembre 2024. Dopo, la percentuale dovrebbe tornare al valore originale, pari al 36% per un importo massimo di spesa ammesso 48.000 euro. Lo stesso per l’Ecobonus, che resterà in vigore con la detrazione fino al 65% fino al 2024. Dopo questa data la percentuale passerà al 36% su un massimo di spesa di 48.000 euro per unità immobiliare.

Bonus mobili, acqua potabile e verde

Per l’acquisto di mobili o elettrodomestici ad alta efficienza energetica fino alla fine del 2022 la detrazione resterà al 50% su acquisti fino a 10.000 euro, mentre per gli anni 2023-2024 il massimale di spesa scenderà a 5.000 euro. Per il bonus acqua potabile, che spetta a chi acquista sistemi per migliorare la qualità dell’acqua erogata da acquedotto per consumo domestico, il credito di imposta in vigore fino al 31 dicembre 2023 è pari al 50% del costo di intervento, su un massimale di 1.000 euro per le persone fisiche. Il bonus verde, invece, prevede una detrazione del 36% fino alla fine del 2024. per un ammontare complessivo non superiore a 5.000 euro.

Bonus facciate e Prima casa Under 36

Per il bonus facciate, in scadenza a dicembre 2022, la detrazione per l’anno in corso è del 60%, e spetta esclusivamente per gli interventi realizzati sulle strutture opache della facciata, balconi o ornamenti e fregi, compresi quelli di sola pulitura o tinteggiatura esterna. Per i giovani con meno di 36 anni alle prese con l’acquisto della prima casa le agevolazioni sono ottenibili solo fino alle fine del 2022, e solo per chi ha un Isee non superiore a 40mila euro annui.

Big Data: il mercato italiano vale 2,41 miliardi di euro

Secondo la ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2022 il mercato Data Management e Analytics in Italia raggiungerà 2,41 miliardi di euro, +20% rispetto all’anno scorso. La crescita è trainata soprattutto dalla componente software (54% del mercato, +25%), mentre la spesa in risorse infrastrutturali cresce in maniera meno sostenuta, sotto la media del mercato. Il buon andamento coinvolge tutti i settori merceologici, ma in controtendenza con gli anni precedenti, nel 2022 sono GDO/Retail, PA e Sanità i comparti che segnano la crescita più marcata. Il budget Analytics destinato a servizi di Public Cloud sale invece a un ritmo doppio rispetto alla media di mercato, e sfiora un quarto della spesa in soluzioni e servizi di Data Management & Analytics.

Le difficoltà delle grandi aziende e delle Pmi 

Nelle grandi aziende permane la difficoltà nell’inserimento di ruoli professionali specializzati su gestione e analisi dei dati: il 49% dichiara di aver introdotto almeno un Data Scientist, il 76% un Data Analyst e il 59% un Data Engineer. Inoltre, il 66% delle grandi realtà ha sperimentato tempi di recruiting più lunghi, e circa il 40% tassi di turnover più elevati. Quanto alle Pmi, il 55% dichiara di aver portato avanti investimenti in ambito Data Management & Analytics o prevede di farlo entro fine anno. Percentuale in crescita rispetto al 2021, ma che non mostra importanti accelerazioni rispetto agli ultimi tre anni. E quattro aziende su dieci non hanno alcuna figura dedicata all’analisi dei dati.

Importanti differenze tra il livello di maturità delle medie e piccole imprese

Così come già evidenziato negli scorsi anni, permangono importanti differenze tra il livello di maturità delle medie (50-249 addetti) e piccole (10-49 addetti) imprese. Le imprese di medie dimensioni hanno un livello medio di adozione delle tecnologie più alto delle piccole. Inoltre, solo un terzo dichiara di non avere personale dedicato, almeno parzialmente, all’analisi dei dati. La forbice tra piccole e medie registra comunque leggeri segnali di riduzione rispetto agli scorsi anni. Le piccole e medie imprese che hanno figure interne si affidano spesso anche a consulenti esterni, prevalentemente in maniera spot su specifici progetti.

Il Data Strategy Index

La ricerca ha costruito un indice di maturità complessivo relativo a tre ambiti (Data Management & Architecture, Business Intelligence e Descriptive Analytics, e Data Science), che mostra come solo il 15% delle grandi aziende può dirsi ‘avanzato’, mentre il 30% ‘intraprendente’, il 22% ‘prudente’ e il 33% ‘immaturo’ o ‘ai primi passi’. Negli ambiti Business Intelligence e Descriptive Analyticsle grandi organizzazioni però sono a buon punto. L’83% dichiara la presenza di competenze e il 69% sfrutta strumenti di Data Visualization avanzati. Sul fronte Data Science, prosegue la crescita delle organizzazioni che hanno avviato almeno una sperimentazione in ambito Advanced Analytics (65%). Le funzioni in cui la Data Science trova maggiore applicazione sono Marketing, Vendite, e Produzione, in cui risulta più semplice valorizzare in termini economici i risultati portati dalle singole progettualità.

Esports, che business: in Italia valgono 47 milioni di euro

Gli italiani sono appassionati di sport, sia come giocatori sia come spettatori, anche nel mondo digitale. Tanto che quello degli esports oggi è un settore in decisa crescita e che vanta un aumento dell’impatto economico superiore del 4%. È questo il quadro che emerge dalla seconda edizione del “Landscape del settore esports in Italia”, commissionato dall’associazione di settore italiana IIDEA a Nielsen. 
“Gli esports sono un segmento del settore dei videogiochi sempre più sviluppato anche nel nostro Paese, non solo in termini di fruizione da parte del pubblico, ma anche di maturazione e professionalizzazione dell’ecosistema locale”, ha commentato Marco Saletta, Presidente di IIDEA. La ricerca realizzata da Nielsen si basa su dati raccolti attraverso un’indagine ad hoc sugli stakeholder del settore (team, organizzatori, publisher e altre tipologie di operatori), integrata con dati di settore elaborati secondo l’expertise di Nielsen Sports. Secondo le stime di Nielsen, riferisce Adnkronos, l’impatto economico complessivo generato dal settore in Italia, che comprende impatto economico diretto e indiretto, ammonta a oltre 47 milioni di euro.

L’impatto economico diretto e indiretto

L’impatto economico diretto, ossia direttamente collegato all’occupazione generata dal settore, è di circa 38 milioni di euro a fronte dei 30 della precedente analisi. Di questi, il 55% (20,9 milioni) viene generato dai team di esports, seguiti dagli organizzatori con il 22% (8,4 milioni) e dai publisher con il 5% (2 milioni). Il restante 18% (6,7 milioni) viene generato da altre tipologie di società che operano nel mondo Esports (es. venue dedicate, produttori hardware, sviluppatori e altre categorie non assimilabili alle precedenti). Le principali categorie di spesa, in termini di occupazione, variano in relazione alla tipologia di entità considerata. I ruoli che all’interno del settore pesano maggiormente sul totale dei costi per il personale sostenuti sono pro-player, content creator e analyst/coach per i team, caster e commentatori, project manager e content creator per gli organizzatori e occupazioni in ambito marketing e PR per i publisher. L’impatto economico indiretto, generato da tutte le spese correlate al mondo degli Esports, come i servizi ausiliari e il merchandising, è invece superiore a 10 milioni di euro. A differenza di quanto rilevato per l’impatto diretto, sono i publisher che contribuiscono maggiormente con il 64% (circa 6,9 milioni) del totale. I team generano il 19% del valore indiretto mentre gli organizers il 14%. Il rimanente 3% (348mila) è riconducibile alle restanti categorie di società operanti nel settore. Le principali categorie di spesa sono marketing, travel/accomodation, finance/legal e amministrazione per i team, HR/personale, equipment e rental, finance/legal e amministrazione per gli organizzatori e infine marketing e merchandising per i publisher.

L’interesse degli stakeholder

I fan esports e sono un target esigente per quello che riguarda le prestazioni, le esperienze di gioco e il coinvolgimento. I risultati ottenuti tramite partnership, eventi ed experience, hanno dato agli attori coinvolti nel mondo esports una connotazione di eccellenza e un vantaggio competitivo in termini di percezione del proprio brand. Oltre ad incrementare l’awareness i brand hanno anche ottenuto buoni risultati in termini di customer acquistion nonché di networking e interazioni B2B. La partecipazione al mondo Esports sta avvenendo sia per via diretta (tramite la fornitura di prodotti dedicati) che indiretta (attraverso sponsorizzazioni o altre tipologie di investimenti). Indipendentemente dal posizionamento, i brand (endogeni ed esogeni) hanno come obiettivo quello di interagire e posizionarsi all’interno di un settore dinamico, caratterizzato da tratti quali innovazione e avanguardia.

Customer experience nel B2B: a che punto sono le aziende italiane?

Se nel mondo B2C la customer experience sembra ormai un fatto acquisito, lo stesso si può dire in ambito B2B? Probabilmente no, visto che solo un terzo delle imprese italiane si è mosso in questo senso: a dirlo è la ricerca dell’Osservatorio Customer Experience nel B2B della della School of Management del Politecnico di Milano. 

Cosa è la customer experience?

Prima di proseguire con i dati, è però opportuno capire cosa si definisca con questo temine. Per customer experience nel B2B “si intende l’effetto, positivo o negativo, derivante dalla relazione cliente-fornitore all’interno della filiera di appartenenza e durante tutte le fasi del customer journey, dal primo contatto all’assistenza post-vendita. Il rapporto cliente-fornitore cambia, anche significativamente, sulla base della tipologica di cliente considerato, di variabili di contesto e delle caratteristiche del cliente. La costruzione di una customer experience efficace dovrà tenere conto di tutti questi aspetti” riporta l’Osservatorio. All’interno della relazione cliente-fornitore giocano un ruolo fondamentale i punti di contatto, detti anche Touchpoint. Se gestiti in maniera sinergica, coerente e integrata – in una parola, omnicanale – consentono di creare valore dall’interazione cliente-fornitore per entrambi gli attori in gioco.

Solo il 34% delle aziende ha un approccio “cliente centrico”

Oggi, solo il 34% delle aziende B2B italiane ha già un approccio “customer centric”, capace di creare maggiore valore, perché basato sull’ascolto e l’attenzione verso il cliente, con strategie volte a cogliere le specifiche esigenze e caratteristiche peculiari di ciascuno. Il 16% è in fase di avvicinamento verso questo modello, ma la maggior parte – il 50% – è ancora focalizzato sulla componente di prodotto/servizio offerto. Ma cosa occorre per creare questa relazione col cliente? Una strategia orientata al cliente richiede prima di tutto un’organizzazione ad hoc, che coinvolga tutti gli attori e i processi nella relazione, con iniziative o strumenti declinati per ciascuna realtà. Eppure, il 66% delle aziende italiane ha con i propri clienti un rapporto limitato a un solo scambio di informazioni di natura tecnica e/o commerciale, il 20% ha attivato una relazione strategica basata su uno scambio di dati o informazioni (dati di sell-out granulari, condivisione di liste di clienti/lead con il proprio distributore) e appena il 14% sta evolvendo verso una relazione di supporto e ascolto reciproco, lo step abilitante la costruzione di una relazione collaborativa. Per un modello “cliente centrico”, poi, serve un’opportuna dotazione tecnologica di piattaforme e strumenti in grado di valorizzare gli scambi informativi.