Quali sono i cinque trend del lavoro per il 2024?

Quali sono le cinque tendenze che definiranno il panorama occupazionale nel 2024? Le ha identificate Indeed, il sito globale per chi cerca e offre lavoro, basandosi sui dati e le osservazioni condotte nel 2023.

Il lavoro nel 2024 si preannuncia come un ambiente dinamico, dove adattabilità, innovazione e impatto sociale saranno le chiavi per il successo. Pertanto, i cinque trend che guideranno il mondo del lavoro nel 2024 saranno una crescente domanda di lavoratori altamente qualificati, l’automazione nei processi di recruitment, l’espansione del lavoro ibrido, la necessità di una formazione continua, e una crescente importanza dell’equilibrio tra vita professionale e vita privata.

Formazione continua, nuove tecnologie e flessibilità

Il rapido sviluppo dell’AI, dell’automazione e delle nuove tecnologie richiederà un’adattabilità senza precedenti da parte di lavoratori e aziende.
Il 2024 sarà perciò caratterizzato da una crescente domanda di competenze digitali, in particolare, riguardo AI, robotica e programmazione. Indeed prevede che la formazione continua diventerà una priorità, con un focus crescente su competenze digitali e nuove metodologie di lavoro.

Ma al centro delle politiche aziendali ci sarà anche l’equilibrio tra lavoro e vita personale.
La pandemia ha ridefinito le aspettative dei dipendenti riguardo lavoro flessibile e opzioni di lavoro da remoto.
Le aziende che abbracciano e promuovono un ambiente di lavoro flessibile risulteranno più attrattive.

AI integrata nel recruiting, salute digitale, sostenibilità

La crescente competizione per i talenti porterà a un’innovazione significativa nei processi di assunzione e gestione del personale.
L’integrazione dell’AI nel recruiting diventerà la norma, ottimizzando e automatizzando la corrispondenza tra candidati e posizioni aperte.

Ma i temi emergenti della salute digitale, la tecnologia blockchain e la sostenibilità vedranno un interesse costante anche nel 2024, sia da parte dei datori di lavoro sia di coloro che lo cercano.
Inoltre, le aziende saranno sempre più valutate anche per l’impatto sociale e ambientale. Le organizzazioni che integrano sostenibilità, inclusività e responsabilità sociale nella cultura aziendale attireranno e manterranno talenti di alto livello.

“Trovare il giusto equilibrio tra innovazione tecnologica e umanizzazione”

“Le tecnologie emergenti come l’AI stanno rivoluzionando il modo in cui le aziende assumono e gestiscono i lavoratori, ed è un tema che rimarrà centrale, insieme agli altri aspetti dell’innovazione – commenta Roberto Colarossi, senior sales director di Indeed -. Tuttavia, rimane fondamentale trovare il giusto equilibrio tra l’utilizzo delle innovazioni tecnologiche e l’umanizzazione di tutto il processo di assunzione. Ma non ci sono solo le nuove tecnologie: rimane alta l’attenzione per flessibilità, inclusività e well-being, sempre più importanti per attrarre e trattenere i migliori talenti. Le competenze digitali, anche in settori tradizionalmente non tecnologici, si confermano essenziali, per rimanere competitivi, infatti, sarà fondamentale garantire una formazione continua”.

Abbigliamento, chiusi 9mila negozi. Gli italiani comprano sempre più online

È la fotografia scattata da Unioncamere e InfoCamere: negli ultimi cinque anni il numero di negozi di abbigliamento in Italia è sceso di oltre 9mila unità, attestandosi, al 30 settembre scorso, leggermente al di sopra dei 78.000 esercizi commerciali.

Una frenata che ha inciso pesantemente sulle imprese individuali, pari al 53% del totale del comparto, che tra il 2019 e il 2023 hanno registrato una diminuzione superiore al 12%, ovvero, -5.891 unità in termini assoluti.
Si tratta di una dinamica, che secondo l’associazione delle Camere di commercio guidata da Andrea Prete, riflette anche la forte crescita del commercio online. Sono infatti sempre di più gli italiani che fanno i loro acquisti sulle apposite piattaforme dedicate.

Un’Italia con meno vetrine

Mediamente, il bilancio tra aperture e chiusure di attività nel commercio di articoli di abbigliamento in esercizi specializzati è quantificabile in una riduzione di quasi l’11%.
Insomma, pandemia, cambiamenti nelle abitudini di consumo e fiammate inflazionistiche stanno mettendo a dura prova i negozi di abbigliamento lungo lo stivale. 

E a livello territoriale l’immagine è di un’Italia con meno vetrine in tutte le venti regioni, a eccezione di Valle d’Aosta e Trentino Alto Adige, dove si conta una variazione negativa più contenuta in termini percentuali.

A Roma, Ancona, Ferrara e Rieti diminuzioni superiori al 20%

In tutte le altre regioni, a partire da Lazio, Marche, Toscana e Friuli Venezia Giulia, si registrano perdite superiori al 10%.
Lazio, Lombardia e Toscana sono invece le regioni in cui la contrazione degli esercizi è maggiore in termini assoluti. Le tre regioni, infatti, determinano quasi la metà della variazione negativa registrata a livello nazionale: -4.272 attività nel periodo in esame, pari al 46% del totale.

A livello provinciale, le variazioni percentuali più importanti si registrano al Centro-Nord.
A Roma, Ancona, Ferrara e Rieti per il commercio al dettaglio di articoli di abbigliamento si contano diminuzioni superiori al 20% nell’arco dell’intero periodo considerato.

Imprese under35, “rosa” e straniere più colpite

Qualche nota positiva arriva dal Sud, dove Crotone, Ragusa e Siracusa sono le uniche province in cui la variazione di attività dell’abbigliamento nel quinquennio è positiva, rispettivamente, +1,6% e +0,5%.
Ma il declino nei cinque anni ha interessato fortemente le componenti femminili e giovanili.

Rispettivamente, è di oltre 4.700 e 2.500 negozi la perdita registrata nel settore in termini assoluti, corrispondente a una variazione percentuale negativa pari al 10% per le imprese ‘rosa’ e oltre il 26% per quelle under35.
Uno scenario sempre negativo, ma meno significativo in termini assoluti, risulta quello delle imprese straniere (10% sul totale del settore), dove sono state estromesse per sempre dal mercato circa 1.000 attività (-10,4% nel periodo).

In arrivo dalla UE la prima legge al mondo per regolamentare l’AI

Si tratta di una normativa senza precedenti a livello globale, che intende garantire la sicurezza e il rispetto dei diritti fondamentali e dei valori europei da parte dei sistemi di Intelligenza artificiale immessi sul mercato.
Dopo una maratona di negoziati durata tre giorni il Consiglio UE e il Parlamento europeo hanno raggiunto un accordo sulla proposta di norme armonizzate sull’Intelligenza artificiale. 

L’idea principale è regolamentare l’AI in base alla capacità di causare danni alla società: maggiore è il rischio, più severe sono le regole.
La stragrande maggioranza dei sistemi di AI rientra però nella categoria del rischio minimo, pertanto, beneficeranno di un ‘free-pass’.

I sistemi considerati ad alto rischio

Le sandbox normative faciliteranno l’innovazione responsabile e lo sviluppo di sistemi AI conformi. Quindi, i sistemi identificati ad alto rischio saranno tenuti a rispettare requisiti rigorosi.

Esempi di sistemi di AI ad alto rischio includono alcune infrastrutture critiche, come nei settori acqua/gas/elettricità, dispositivi medici, sistemi per determinare l’accesso alle istituzioni educative o per reclutare persone, alcuni sistemi utilizzati nei settori delle forze dell’ordine, controllo delle frontiere, amministrazione della giustizia e processi democratici.
Sono considerati ad alto rischio anche i sistemi di identificazione biometrica, categorizzazione e riconoscimento delle emozioni.

La blacklist dei sistemi a rischio inaccettabile

Il rischio inaccettabile riguarda i sistemi di AI considerati una chiara minaccia ai diritti fondamentali delle persone, e saranno vietati.
La blacklist include sistemi o applicazioni di AI che manipolano il comportamento umano per aggirare il libero arbitrio, sistemi che consentono il ‘punteggio sociale’ da parte di governi o aziende, e alcune applicazioni di polizia predittiva.

Alcuni utilizzi dei sistemi biometrici saranno vietati, ad esempio, il riconoscimento delle emozioni sul posto di lavoro, e alcuni sistemi per la categorizzazione delle persone, o il riconoscimento facciale in tempo reale in spazi accessibili al pubblico.

Sistemi a rischi specifici a contrassegno obbligatorio 

L’accordo della UE chiarisce gli obiettivi in cui tale uso è strettamente necessario ai fini dell’applicazione della legge, e per i quali le autorità dovrebbero essere eccezionalmente autorizzate a utilizzare tali sistemi.
L’accordo prevede ulteriori garanzie, limitando le eccezioni alle vittime di determinati reati, prevenzione di minacce reali, come ad esempio, attacchi terroristici, e la ricerca di persone sospettate di gravi crimini.

Vi è poi la categoria dei rischi specifici, quali le ormai famose chatbot.
Quando utilizzano le chatbot, riporta AGI, gli utenti dovrebbero essere consapevoli che stanno interagendo con una macchina. Deepfake e altri contenuti generati dall’AI dovranno essere etichettati come tali.
Inoltre, i fornitori dovranno progettare sistemi in modo che i contenuti audio/video/testo/immagini sintetici siano contrassegnati e rilevabili come generati o manipolati artificialmente.

Coldiretti: ecco la black list dei prodotti alimentari più contaminati 

È quanto emerge da un’analisi della Coldiretti, condotta sulla base delle elaborazioni del sistema di allerta Rapido (Rassf), e diffusa in occasione dell’apertura del Forum Internazionale dell’Agricoltura e dell’Alimentazione: alcuni cibi contaminati e pericolosi per la sicurezza alimentare rischiano di finire nel carrello degli italiani in cerca di risparmio.

Nel 2022, sul totale dei 317 allarmi rilevati, 106 riguardavano importazioni da stati dell’Unione Europea (33%), 167 da Paesi extracomunitari (53%) e solo 44 (14%) erano prodotti con origine nazionale.
In pratica, oltre otto prodotti contaminati su dieci provengono dall’estero (86%), in particolare, fichi turchi, pistacchi iraniani, spezie indiane e litchi cinesi.

Dai fichi secchi turchi al pollo polacco: attenti a tossine, batteri e pesticidi

I pericoli maggiori per la salute dei consumatori italiani provengono dai fichi secchi della Turchia, contaminati dalle aflatossine, dal pesce spagnolo, per l’alto contenuto di mercurio, dalla carne di pollo polacca, contaminata da salmonella, e da cozze e vongole spagnole, sempre con salmonella insieme al batterio dell’escherichia coli.

Molto pericolosi anche i pistacchi di Turchia, Iran e Stati Uniti per l’elevato contenuto di aflatossine cancerogene, erbe e spezie indiane e litchi cinesi, per la presenza di pesticidi oltre i limiti consentiti, e anche ostriche francesi al norovirus, che provoca violente gastroenteriti.
È un’emergenza che non riguarda solo i Paesi in via di sviluppo, ma che si estende anche a quelli più ricchi.

Cibi stranieri oltre dieci volte più pericolosi di quelli italiani

Insomma, cibi e bevande straniere sono oltre dieci volte più pericolosi di quelli Made in Italy, con il numero di prodotti agroalimentari con residui chimici irregolari oltre i limiti di legge pari al 6,4% del totale, rispetto alla media dello 0,6% dei campioni di origine nazionale.

In caso di allarme alimentare le maggiori preoccupazioni sono però determinate dalla difficoltà di rintracciare rapidamente i prodotti a rischio per toglierli dal commercio. Con il rischio di generare un calo di fiducia che provoca il taglio generalizzato dei consumi, e che spesso mette in difficoltà interi comparti economici.

Indicare la provenienza anche di vegetali, semi e funghi in busta

Grazie alla battaglia della Coldiretti arriva l’obbligo di indicare in etichetta il Paese di origine anche per frutta e verdura in busta, noci, mandorle, nocciole e altri frutti sgusciati, agrumi secchi, fichi secchi e uva secca, funghi non coltivati e zafferano.

Un risultato ottenuto con la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’UE del regolamento delegato 2023/2429, che avrà piena attuazione a partire dal 1° gennaio 2025.
Tuttavia, la provenienza resta sconosciuta in diversi casi: dai succhi di frutta alle marmellate, dai legumi in scatola al pane fino ai biscotti, senza dimenticare l’esigenza di arrivare anche nei ristoranti a indicare la provenienza della carne e del pesce serviti a tavola.

Sostenibilità e obiettivi ESG, italiani ancora poco preparati 

La sostenibilità è un concetto noto a tutti, ma solo poco più della metà degli italiani ha familiarità con l’Agenda 2030, mentre in pochissimi conoscono gli obiettivi ESG.
Questa è la rivelazione anticipata del Rapporto Annuale dell’Esg Culture Lab, intitolato ‘La cultura della sostenibilità in Italia’, a cura di Eikon Strategic Consulting Italia Società Benefit. 

Solo il 24% conosce il significato di ESG

Il 97% degli italiani ha sentito parlare almeno una volta di sostenibilità, ma solo il 24% sa cosa significhi ESG, acronimo di Environmental, Social, Governance, criteri fondamentali per valutare la governance ambientale, sociale e aziendale di un’impresa o di un’organizzazione.

Il dato sulla consapevolezza degli ESG si accompagna ai numeri sulla diffusione di questi temi sui social network delle principali 300 aziende italiane. Secondo l’Esg Social Channel Tracker, focus mensile dell’Esg Culture Lab di Eikon Italia Società Benefit, su circa 146.000 contenuti pubblicati da queste aziende sui propri account social da gennaio a ottobre, solo l’11% riguarda temi ESG.
Tuttavia, tali post attirano maggiormente l’attenzione degli utenti, ottenendo un tasso di coinvolgimento del 0,48%, superiore al 0,31% dei contenuti non legati agli ESG.

Sui social le aziende puntano sui temi ambientali 

Per quanto riguarda i criteri ESG, emerge dal Tracker che le aziende si concentrano principalmente sulla comunicazione dei temi ambientali (62% dei post), mentre l’area sociale è marginale (36%). Solo il 2% dei post è dedicato a progetti o iniziative legati a donne o giovani, nonostante i post su questi temi raggiungano un alto tasso di coinvolgimento (0,64%), il doppio rispetto agli altri e anche superiore alle tematiche ESG.

Paola Aragno, vicepresidente di Eikon Italia Società Benefit e docente di Metriche della Comunicazione all’Università Lumsa, commenta l’importanza di queste analisi, considerando che i social sono una delle principali fonti di informazione sugli obiettivi ESG per gli italiani.
Secondo il Rapporto Annuale dell’Esg Culture Lab, oltre il 30% degli italiani apprende degli obiettivi di sostenibilità tramite i social network, alla pari con i giornali, mentre la televisione rimane la principale fonte di informazione (59%).

Le nuove sfide della sostenibilità 

Il Rapporto Annuale dell’Esg Culture Lab viene presentato nella sua versione definitiva il 29 novembre a Palazzo dell’Informazione durante l’evento “Le nuove sfide della sostenibilità”, organizzato da Eikon Italia Società Benefit in collaborazione con il Gruppo Adnkronos.
All’evento partecipano figure di spicco come il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e la Presidente Popolari Europeisti Riformatori ed ex ministro per le Pari Opportunità Elena Bonetti, tra gli altri. 

Big Data: in Italia un mercato da 2,85 miliardi di euro

In Italia nel 2023 la spesa delle aziende in infrastrutture, software e servizi per la gestione e l’analisi dei dati cresce del +18%, raggiungendo il valore di 2,85 miliardi di euro. L’83% è imputabile a grandi imprese, il 17% a microimprese e Pmi.

La crescita è trainata dalla componente Cloud (27% del mercato), particolarmente marcata nel settore manifatturiero e nel comparto Telco e media. GDO/Retail, PA e Sanità registrano una crescita in linea con la media di mercato, mentre il settore bancario è primo per spesa in ambito gestione e analisi dati in relazione al budget ICT.
Sono alcuni risultati della ricerca dell’Osservatorio Big Data & Business Analytics della School of Management del Politecnico di Milano.

Migliora la maturità delle grandi aziende

Secondo il Data Strategy Index cresce la percentuale di grandi aziende italiane di livello avanzato (20% vs 15% nel 2022), ma un terzo (32%) è ancora immaturo o ai primi passi.
All’interno delle organizzazioni sono ormai diffuse figure professionali per la valorizzazione dei dati. Il 77% delle grandi aziende ha già un Data Analyst, il 49% un Data Scientist e il 59% un Data Engineer. Tuttavia, il 77% ha difficoltà a trovare le figure richieste.

Sul fronte delle Pmi, 4 su 10 non hanno alcuna figura dedicata, neanche parzialmente, all’analisi dei dati.
Il 57% si è dotata di un software di data Visualization & Reporting (+8% sul 2022), ma si tratta per lo più di un utilizzo sporadico, con investimenti molto contenuti. Il foglio elettronico rimane ancora estremamente diffuso.

Cresce la spesa per gli Analytics

“Nel 2023 cresce la spesa per gli Analytics, e il livello di maturità delle imprese italiane nella gestione dei dati – spiega Alessandro Piva, responsabile della ricerca dell’Osservatorio -. Tuttavia, il forte interesse non corrisponde sempre a un cambio di rotta decisivo: sono ancora una minoranza le organizzazioni con una Data Strategy di livello corporate. Serve un ulteriore salto per cogliere le opportunità offerte dalle nuove frontiere tecnologiche, tra tutte l’Intelligenza artificiale generativa. Le aziende più mature stanno già sperimentando nell’ambito gestione e analisi dei dati con la Generative AI, alla ricerca di nuove strade per estrarre insight di valore da dati non strutturati o migliorare il processo di gestione e analisi”.

Obiettivo: costruire una buona data experience

“Il grande interesse suscitato nel 2023 per la Generative AI ha contribuito ad accendere i riflettori sull’importanza di avere a disposizione dati di buona qualità, fondamenta per rendere affidabili, e dunque utilizzabili, i risultati degli algoritmi – aggiunge Carlo Vercellis, responsabile scientifico -. Mentre l’innovazione avanza, però, la situazione di incertezza economica e geopolitica rischia di far ritardare gli investimenti, non tecnologici, ma soprattutto organizzativi e culturali, per proseguire nel percorso di valorizzazione dei dati. L’obiettivo delle imprese deve essere quello di costruire una buona data experience, intesa come l’esperienza complessiva di un utente in ogni fase di relazione con i dati, capace di fare la differenza nell’impatto di soluzioni di Analytics”.

Mutui: dalla BCE stop ai rialzi. Rate ferme a +294 euro 

I dati arrivano dall’analisi di Facile.it e Mutui.it: con la decisione da parte della Bce di arrestare il rialzo ai tassi di interesse, l’aumento sulle rate dei mutui variabili italiani dovrebbe fermarsi a +294 euro rispetto a gennaio 2022.
L’analisi è stata realizzata sulla simulazione di un finanziamento a tasso variabile di 126.000 euro in 25 anni, LTV 70%, Tan iniziale 0,67% (Euribor3m+1,25%).
Analizzando un mutuo medio variabile la rata mensile è infatti passata da 456 euro di gennaio 2022 ai 750 euro di oggi, in aumento del 64%.
Sommando i rincari mensili, l’esborso aggiuntivo per i mutuatari è stato addirittura superiore ai 2.850 euro.
Con la fine degli aumenti i mutuatari potranno quindi tirare un parziale sospiro di sollievo, ma la pressione sulle famiglie resta elevata, e prima di vedere un calo bisognerà aspettare il 2024.

Dal 2024 inizia il calo?

Guardando alle aspettative di mercato (Futures sugli Euribor a 3 mesi aggiornate al 23 ottobre 2023) bisognerà aspettare il 2024 per vedere i primi segnali di calo.
A ottobre l’indice Euribor a 3 mesi si è mosso intorno al 3,95%, e secondo le previsioni, a marzo 2024 dovrebbe scendere a 3,93%, per poi arrivare a 3,75% a giugno, e 3,35% a dicembre 2024.
Se ciò avvenisse, la rata del mutuo medio presa in esame a marzo 2024 resterebbe uguale a quella di oggi (750 euro), per poi scendere a 737 euro a giugno e a 708 euro a dicembre 2024.

Fisso o variabile, quale scegliere oggi?

Ma per chi è alle prese con l’acquisto della casa e alla ricerca di un mutuo, quale tasso conviene sottoscrivere?
Secondo le simulazioni di Facile.it, prendendo in considerazione il mutuo standard utilizzato nell’analisi, i migliori tassi fissi (TAN) disponibili oggi online partono dal 3,79%, corrispondenti a una rata di 651 euro, mentre per un mutuo variabile la migliore offerta parte da un TAN di 4,71%, con una rata di 709 euro.

“Bisogna avere le spalle larghe per i momenti di difficoltà dei mercati”

“Non esiste in assoluto una scelta migliore di un’altra riguardo alla tipologia di tasso e le variabili da tenere in considerazione sono molte e soggettive – spiegano gli esperti di Facile.it -. Per chi non vuole rischiare la soluzione più adatta è il tasso fisso, che a oggi non solo garantisce la stabilità della rata, ma risulta anche più conveniente rispetto alla cedola di partenza un mutuo variabile. Chi, invece, è più incline al rischio e dispone di una maggiore capacità reddituale potrebbe optare per un tasso variabile. Si tratta di fare una piccola scommessa, ovvero che a partire dal nuovo anno le rate comincino a frenare la loro ascesa e poi a inizino scendere. Sul lungo periodo, in effetti, i tassi variabili si sono dimostrati nella maggior parte dei casi più convenienti, ma bisogna avere le spalle larghe per i momenti di difficoltà dei mercati”.

Generazione Z e il cibo: un rapporto sano e giusto

Una recente ricerca condotta da Ipsos per l’Osservatorio Cirfood District ha esaminato il rapporto delle giovani generazioni con il cibo e la ristorazione.
I risultati, considerato che il campione era composta da ragazzi e ragazze fra i 16 e i 26 anni, sono per certi versi sorprendente e indicano una grande maturità da parte delle nuove generazioni in tema anche di benessere, salute e sostenibilità.

Benessere fisico e alimentazione

La ricerca sottolinea che il 73% dei giovani è soddisfatto del proprio peso, mentre il 67% è contento della forma fisica. Questi risultati sono attribuiti all’attività sportiva e al rapporto con l’alimentazione.
Tuttavia, emerge una certa difficoltà nel bilanciare l’alimentazione e la salute, con il 27% dei ragazzi che reputa questo equilibrio spesso difficile.  La ricerca ha identificato quattro comunità di sentimenti tra i giovani e il cibo: i pacificati (44%), gli sregolati (25%), i compiaciuti (16%), e gli esigenti (15%). Queste categorie riflettono le diverse relazioni dei giovani con il cibo, dal rapporto sereno a quello conflittuale.

Il menù perfetto per la Generazione Z

Per la Generazione Z, il cibo ideale è semplice (36%) senza  ingredienti complessi o troppe lavorazioni. Ma mangiare è anche un momento di svago (24%) per imparare nuove ricette, tradizioni e culture, oltre a essere un mezzo per migliorare la salute (22%) e ricaricare le energie (20%). Per quanto riguarda la qualità, i giovani privilegiano i prodotti Made in Italy (38%), gli alimenti sostenibili (27%), quelli privi di antibiotici o ormoni (27%) e provenienti da allevamenti rispettosi del benessere animale (26%).
Questi risultati rivelano una chiara consapevolezza tra i giovani dell’importanza di modelli alimentari responsabili e sostenibili.

Sostenibilità nel sistema alimentare

Il 91% degli intervistati concorda sulla necessità di ripensare il modo in cui il cibo viene prodotto e consumato. Questo favorisce un sistema alimentare globale più sostenibile, a discapito di modelli che accelerano la deforestazione, il cambiamento climatico e la perdita di biodiversità.

Mangiare fuori, cosa piace di più?  

I pasti preferiti dalle nuove generazioni includono pizza (50%), pasta (42%), frutta fresca (42%), carne bianca (39%), riso e cereali (38%).
Uscire piace, e molto: il 66% dei ragazzi cena fuori casa almeno una volta a settimana, in ristoranti italiani, fast food e pub. Questi pasti rappresentano un’importante occasione di socialità per i giovani.

Mercato Cloud: si consolida nel panorama aziendale italiano

Il mercato Cloud italiano nel 2023 ha registrato una crescita significativa, raggiungendo un valore complessivo di 5,51 miliardi di euro, in aumento del 19% rispetto al 2022. Questo segnala un consolidamento della presenza del Cloud nel panorama aziendale italiano, nonostante alcune sfide legate alla situazione geopolitica, alla crisi energetica e all’inflazione crescente che potrebbero influenzare il settore.

Il comparto Public & Hybrid Cloud cresce del 24%

Tra le componenti del mercato Cloud, il Public & Hybrid Cloud, che comprende servizi forniti da provider esterni e l’interconnessione tra Cloud pubblici e privati, ha evidenziato la crescita più significativa, raggiungendo una spesa di 3,729 miliardi di euro, con un aumento del 24% rispetto all’anno precedente. Questa componente sta diventando sempre più rilevante, evidenziando l’importanza della flessibilità nell’ambiente Cloud.

Le grandi imprese concentrano l’87% della spesa totale

La spesa Cloud in Italia è principalmente rappresentata dalle grandi imprese, che contribuiscono all’87% della spesa totale. Tuttavia, anche le piccole e medie imprese (PMI) stanno adottando servizi in Public Cloud in modo crescente, con una crescita del 34% rispetto al 2022, raggiungendo un totale di 478 milioni di euro.
Nel dettaglio, i servizi infrastrutturali (IaaS) sono cresciuti del 29% raggiungendo 1,511 miliardi di euro, equiparando la quota rappresentata dai servizi Software (SaaS). Questo aumento è stato sostenuto dagli investimenti delle grandi imprese in progetti strategici pluriennali, con contratti a tariffe bloccate, che hanno contribuito a mitigare gli effetti dell’inflazione. Il settore del Public & Hybrid Cloud è trainato principalmente dallo IaaS, che ora rappresenta il 41% del mix complessivo.

Inoltre, il Platform as a Service (PaaS) ha registrato un aumento del 27% raggiungendo 686 milioni di euro, grazie alle opportunità legate all’Intelligenza Artificiale e all’analisi dati. Il Software as a Service (SaaS) ha registrato un aumento del 19%, raggiungendo un valore complessivo di 1,532 miliardi di euro.

La trasformazione? Passa da una nuova cultura organizzativa 

Nonostante il successo del Cloud tra le grandi imprese, le sfide principali per una vera trasformazione digitale rimangono. Inoltre, esiste ancora una cultura organizzativa diffusa che misura l’efficacia del Cloud principalmente in base al risparmio sui costi rispetto a una configurazione on-premise, invece di considerarlo come un abilitatore dell’innovazione.

Questo aspetto ostacola la vera trasformazione. Infine, la gestione finanziaria del Cloud è diventata una sfida per molte organizzazioni, con il 74% che continua a gestire risorse e costi del Cloud secondo le logiche tradizionali dei sistemi on-premise. Ciò comporta difficoltà gestionali e può portare alla riduzione di servizi. Pertanto, per affrontare questa sfida, è necessario adottare approcci innovativi come il FinOps e sviluppare una maggiore maturità nella gestione dinamica delle risorse economiche dedicate al Cloud.

Quali sono oggi le professioni più desiderate?

La società cambia rapidamente e, con essa, anche l’appeal delle varie professioni. Quali sono quelle che oggi attirano di più? A questa domanda risponde una ricerca condotta da Adecco, società del gruppo The Adecco Group focalizzata sullo sviluppo e la valorizzazione delle risorse umane, cha evidenziato come le opinioni degli italiani sulle professioni più ambite siano cambiate notevolmente rispetto a dieci anni fa.

Le professioni in ambito sanitario conquistano punti

I risultati dello studio mostrano un aumento significativo dell’interesse per le professioni nel campo sanitario e del benessere psico-fisico. Questo cambiamento è in parte dovuto al ruolo cruciale che i professionisti di questi settori hanno svolto nel superare le sfide della pandemia degli ultimi anni. Ad esempio, l’interesse per la professione di Medico è cresciuto del 85%, mentre quello per l’Infermiere è aumentato del 39%. Le professioni legate al benessere mentale e fisico hanno registrato un vero e proprio boom, con un aumento del 148% per lo Psicologo e del 349% per il Nutrizionista. Tali incrementi riflettono una maggiore sensibilità verso la salute mentale e l’importanza di una dieta equilibrata per uno stile di vita sano. Tuttavia, l’interesse per la professione di Personal Trainer è diminuito del 5%.

Formazione umanistica sì, ma unita alla tecnologia

Le professioni umanistiche, invece, si trovano in una situazione altalenante. Nonostante le preoccupazioni riguardo all’effetto della tecnologia e dell’Intelligenza Artificiale sulla domanda di queste professioni, c’è ancora un forte interesse in Italia per tali carriere. L’innovazione tecnologica ha spinto le aziende a cercare professionisti con competenze umanistiche arricchite da conoscenze digitali. Rispetto a dieci anni fa, c’è stato un notevole aumento nell’interesse per le carriere legate alla diffusione della conoscenza e alla narrazione, con un aumento del 75% per gli aspiranti Scrittori, del 78% per coloro che vogliono diventare Professori e addirittura del 123% per chi aspira a diventare Insegnante. Tuttavia, l’interesse per la professione di Archeologo è diminuito del 51%, mentre quello per il Giornalista è sceso del 9%, probabilmente a causa delle sfide e delle opportunità ridotte in questi settori.

Lo spettacolo piace solo se è social

Il settore dello Spettacolo e dell’Intrattenimento è uno dei più influenzati dai cambiamenti degli ultimi dieci anni. L’ascesa dei social network e la diffusione delle piattaforme di streaming hanno ridefinito completamente il panorama. L’interesse per diventare Cantanti è diminuito del 50%, mentre quello per diventare Youtuber è sceso del 13%. In compenso, la professione di Influencer ha registrato un aumento impressionante del 505%, sebbene fosse ancora in fase embrionale nel 2013. Inoltre, ci sono differenze di genere evidenti, con un aumento del 41% nell’interesse maschile per la professione di Modello e una diminuzione del 39% per quella di Attore, mentre per le donne è il contrario, con una diminuzione del 17% per la professione di Modella e un aumento del 5% per quella di Attrice.

Avvocato ni, sportivo sì, carabiniere no

Le professioni giuridiche sembrano non esercitare più lo stesso fascino di un tempo. L’interesse per diventare Giudice è diminuito del 20%, mentre per l’Avvocato è sceso del 28%, con l’unica eccezione del Notaio, che ha registrato un aumento del 116% nell’interesse rispetto a dieci anni fa.
Nel campo delle professioni sportive, il Calcio rimane una professione attraente in Italia, con un aumento del 27% nell’interesse, ma il Pilota è la professione in maggiore crescita, con un aumento del 44%. L’interesse per la professione di Allenatore è invece diminuito del 9%. Infine, c’è un calo significativo dell’interesse verso le professioni legate alla sicurezza e alle Forze dell’Ordine. L’interesse per la carriera di Poliziotto è diminuito del 21%, quello di Pompiere del 32% e quello di Carabiniere addirittura del 42%. Questo trend solleva questioni importanti riguardo alla necessità di rendere queste professioni più attraenti per garantire la sicurezza pubblica.