Lavoro: a giugno 568mila assunzioni previste dalle imprese 

A delineare lo scenario per la domanda di lavoro nel trimestre estivo è il Bollettino del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal. Turismo e manifatturiero (rispettivamente con oltre +7mila e +4mila assunzioni) sostengono la domanda di lavoro, mentre registrano una flessione costruzioni, servizi alle persone, servizi finanziari e assicurativi, e servizi informatici e delle telecomunicazioni. Più in generale, a giugno sono circa 568mila le assunzioni a tempo determinato o indeterminato previste dalle imprese, e quasi 1,4 milioni tra giugno e agosto. Si tratta di oltre 9mila unità in più rispetto a giugno 2022 (+1,5%) e circa +37mila sul trimestre corrispondente (+2,8%).
Anche per giugno però si conferma elevata la difficoltà di reperimento del personale. Sono difficili da reperire quasi la metà dei lavoratori ricercati (+6,8%).

L’industria cerca 348mila lavoratori entro agosto

Nel suo complesso a giugno l’industria ricerca circa 134mila lavoratori, e 348mila nel trimestre giugno-agosto. Per il manifatturiero (89mila lavoratori nel mese e 237mila nel trimestre) le maggiori opportunità di lavoro riguardano le industrie della meccatronica, che ricercano 22mila lavoratori nel mese e 58mila nel trimestre. Seguono le industrie metallurgiche e dei prodotti in metallo (circa 18mila e 45mila) e quelle alimentari (13mila e 46mila). Per il settore delle costruzioni sono programmate 44mila assunzioni nel mese e circa 111mila assunzioni nel trimestre. Sono invece 434mila i contratti di lavoro previsti dal settore dei servizi nel mese in corso, e oltre 1 milione quelli per il trimestre giugno-agosto.

Il turismo traina la domanda, e più contratti a tempo indeterminato 

Ed è il turismo a offrire le maggiori opportunità di occupazione, con oltre 164mila lavoratori ricercati nel mese e circa 353mila nel trimestre, seguito dal comparto dei servizi alle persone (71mila e 165mila) e dal commercio (69mila e 171mila). In aumento poi la previsione per i contratti a tempo indeterminato (+14,8 %), anche come effetto dell’elevata difficoltà di reperimento del personale, mentre meno rilevante è l’incremento per i contratti a termine e stagionali (+ 2,3%). Diminuiscono invece le previsioni per i contratti di collaborazione occasionale e a partita IVA (-40,5%), e i contratti in somministrazione (-2,9%).
Ma cresce ancora la domanda di lavoratori immigrati, con 114mila ingressi programmati nel mese (+18mila), pari al 20,1% del totale.

Ancora elevato il mismatch: il 46,0% del personale non si trova 

La difficoltà di reperimento conferma il dato elevato di maggio, attestandosi al 46,0%. Il Borsino delle professioni del Sistema Informativo Excelsior segnala difficile reperimento tra le professioni tecniche e ad elevata specializzazione: specialisti nelle scienze della vita (80,3%), tecnici in campo ingegneristico (68,9%), tecnici della gestione dei processi produttivi di beni e servizi (68,5%). Tra le figure degli operai specializzati si distinguono gli operai specializzati addetti alle rifiniture delle costruzioni (72,5%) e fonditori, saldatori, lattonieri, calderai, montatori di carpenteria metallica (70,7%). Sotto il profilo territoriale, il mismatch è più elevato per le imprese nel Nord-Est, per le quali sono difficili da reperire circa il 52% dei profili ricercati. Seguono le imprese del Nord-Ovest (47,1%), del Sud e Isole (42,5%), e del Centro (42,4%).

Generazione Z, il 57% degli italiani boccia lo slang

La Generazione Z, con il suo slang e le sue espressioni, viene bocciata dal 57% dei cittadini italiani. Questo è quanto emerge da un’indagine condotta da Preply, che ha intervistato circa 1.600 madrelingua italiani. Sono diverse le parole che vengono comunemente utilizzate dai giovani ma che non piacciono ai loro genitori e concittadini più grandi. Tra i termini meno apprezzati, in cima alla lista delle abbreviazioni, acronimi, idiomatismi e inglesismi che possono rendere una conversazione incomprensibile per molti, c’è “Bro”, abbreviazione di “brother” in inglese, usata come termine di affetto tra coetanei. Seguono l’immarcescibile “Scialla”, che indica una situazione di tranquillità, e “boomer”, utilizzato per indicare la “lentezza” con cui i soggetti tra i 60 e i 70 anni si adattano alle trasformazioni tecnologiche.

“Postare” è il termine slang più utilizzato

Secondo il rapporto, l’89% degli italiani ammette di utilizzare qualche termine dello slang, ma solo il 18% lo fa abitualmente nella maggior parte delle conversazioni. Tra le espressioni gergali più conosciute, troviamo “postare”, “un botto” e “spoilerare”, che sono diventate comuni anche tra i “boomer”. Altre espressioni difficili da digerire per alcuni sono “Che sbatti”, che significa non avere voglia di fare nulla, “Gls”, abbreviazione di “già lo sai”, e il classico “amò”, abbreviazione affettuosa di “amore”. Alcune frasi gergali meno conosciute includono “abbuco”, “bibbi”, “bae” e “simp”, che richiedono una certa dimestichezza con lo slang per comprenderle.

Si impara su Internet e sui social

Ma dove si impara lo slang? Secondo il 59% degli intervistati, lo slang viene assorbito da Internet o dai social media, mentre il 43% lo apprende dagli amici e il 18% dalla famiglia. Sebbene il 13% degli italiani pensi che sia appropriato utilizzare lo slang anche in contesti professionali, solo il 4% avrebbe il coraggio di farlo davanti al proprio capo.

Ogni generazione ha il suo linguaggio

In conclusione, l’indagine evidenzia una disparità di comprensione e utilizzo dello slang tra le diverse generazioni. Mentre i giovani si esprimono liberamente con il loro linguaggio informale, molti adulti faticano a seguirli e considerano queste espressioni estranee e poco comprensibili. Tuttavia, è importante sottolineare che l’utilizzo dello slang può variare a seconda del contesto e delle relazioni interpersonali, e che ogni generazione ha il suo modo di comunicare e di esprimersi.

Frena la richiesta di credito delle imprese, risalgono i tassi di default

Emerge dai dati elaborati di EURISC, il Sistema di Informazioni Creditizie di CRIF: il I trimestre 2023 vede in frenata la domanda di credito presentata dalle imprese italiane, che risulta del -3,6% rispetto al periodo corrispondente del 2022.
Il trend generale di flessione delle richieste si rispecchia anche nell’analisi per tipologia di impresa. Infatti, la domanda di credito da parte delle Imprese individuali mostra una contrazione del -6%, mentre le Società di capitali subiscono una flessione del -2,4%.
Al contrario, si registra un incremento a doppia cifra per l’importo medio richiesto, salito al +27,8%, pari a un ammontare di 146.845 euro. In particolare, per entrambe le tipologie di imprese: +27,4% per le Società di capitali (193.363 euro) e +21,3% per le Imprese individuali (49.717 euro).
E dopo 10 anni torna a salire il tasso di default delle imprese, che nel 2022 tocca il 2%.

Aumenta il rischio di un mancato rimborso del prestito

“Con l’aumento del costo del denaro è quasi inevitabile che anche le imprese provino a richiedere meno soldi in prestito, e che il rischio di un mancato rimborso del prestito stesso aumenti”, spiega Simone Capecchi, Executive Director di CRIF. 
Pertanto, il tasso di default risultava in costante calo dal 2013, delineando negli anni una rischiosità sempre minore delle imprese e uno scenario favorevole per le banche e l’industria del credito. In particolare, questo indicatore è passato da picchi del 7-8% fino a un minimo dell’1,5% nel 2021. Successivamente, la linea discendente si è prima appiattita per poi tornare a crescere dal 2022.

Fluttuazioni della domanda per Servizi, Commercio, Costruzioni

Dallo studio CRIF, che mette a confronto la distribuzione della domanda di credito delle imprese dei diversi settori economici, dopo il picco registrato nel I trimestre 2021 emerge un progressivo riassestamento dei volumi di richiesta del credito ai livelli pre-pandemia.
I settori che hanno maggiormente risentito della fluttuazione di questi anni di ‘permacrisi’ sono stati i Servizi, il Commercio e le Costruzioni.
Entrando nel dettaglio, l’innalzamento delle richieste fino al I trimestre 2021 ha subito un considerevole slancio per i Servizi, che rispetto al 2019, nei primi tre mesi del 2021 segnavano una crescita del 7,6%. Lo stesso è accaduto per il settore Commercio, che ha raggiunto lo zenit nel primo trimestre 2021, con un +7,5% in più rispetto ai livelli pre-pandemia. Una conferma di quanto le conseguenze economico-finanziarie della pandemia abbiano accentuato il bisogno di liquidità del comparto.

Food&Beverage: -13,7% di richieste

Il picco è stato significativo anche per le Costruzioni, con un aumento del 7,4% rispetto al 2019. Il comparto ha infatti beneficiato degli incentivi governativi, come Bonus Facciate o Superbonus 110%, che hanno rivitalizzato la domanda.
Le fluttuazioni della domanda di credito nell’arco temporale degli ultimi cinque anni sono state invece molto più contenute per settori quali le Telecomunicazioni e l’Energia. Viceversa, il comparto del Food&Beverage ha subito negli anni un forte ridimensionamento della domanda, passando da un livello pre-pandemia del 15,7% di richieste fino a segnare solamente un 2% nel I trimestre 2023 (-13,7%).

Gli italiani e l’Europa, che rapporto c’è?

Il 9 maggio di ogni anno si celebra la Giornata dell’Europa, una festa che celebra la pace e l’unità in Europa. In vista di questo evento nel 2023, Ipsos ha condotto una ricerca sulle opinioni degli italiani riguardo all’Unione Europea. Nonostante la fiducia degli italiani nell’UE sia diminuita negli ultimi anni, il rapporto tra l’Italia e l’UE non sembra essere compromesso. Molti italiani ritengono l’appartenenza dell’Italia all’Unione una cosa positiva (più di quattro su 10) e la maggioranza degli intervistati si esprimerebbe a favore del remain in caso di un referendum sull’uscita dell’Italia dall’UE o dall’euro.

Quali sono gli aspetti critici secondo gli italiani

Tuttavia, molti italiani hanno una visione critica dell’UE e delle sue istituzioni. Le istituzioni europee sono percepite come “lontane” dal 51% degli intervistati e troppo influenzate da Francia e Germania. Gli italiani si aspettano che l’UE evolva in un vero stato federale europeo, in modo da diventare più funzionale. Gli “Stati Uniti d’Europa” sono la chiave per far funzionare davvero l’UE secondo il 54% del campione (il 23% si dichiara invece in disaccordo). 

Una gestione unitaria sui grandi temi

Uno Stato federale che dovrebbe mettere al centro innanzitutto una gestione unitaria dell’immigrazione (il 31% la indica come una delle priorità europee) e una comune lotta al cambiamento climatico (29%). Anche sul conflitto in Ucraina occorrerebbe un cambio di passo: per il 54% gli Stati membri dell’Unione dovrebbero sviluppare una posizione politica comune tra loro, anche distinta dagli Stati Uniti se necessario a favorire la pace (il 21% ritiene invece che dovrebbero mantenere il più possibile una linea comune con gli Stati Uniti, il 25% non si esprime).

I passi da fare e il futuro

In generale, l’UE non entusiasma molti italiani, ma la maggioranza riconosce che l’Italia avrebbe meno importanza nel mondo se dovesse uscire dall’Unione Europea. L’UE potrebbe fare molti passi avanti per riconquistare il cuore degli italiani e diventare un’istituzione più amata. Per quanto concerne il futuro dell’Ue, prevale un certo scetticismo. Alla richiesta di immaginare l’Unione Europea tra dieci o vent’anni gli italiani si dividono sostanzialmente in tre blocchi: il 25% ritiene che l’UE sarà più forte e solida rispetto ad oggi, una percentuale identica pensa invece che si andrà nella direzione opposta (un’Unione più debole e divisa). Il restante 50% ritiene che non ci saranno grandi cambiamenti (21%) o non ha un’opinione a riguardo (29%).

Per fare un figlio bastano da 500 a 1.000 euro al mese

Qual è secondo gli italiani la misura di sostegno più convincente, che farebbe, decidere alle coppie di allargare la famiglia? Tra bonus vigenti, detassazione, rafforzamento degli attuali sostegni sociali, come ad esempio, per l’acquisto di libri, rate degli asili, o congedi parentali, e un contributo di 500-1.000 euro a figlio le coppie italiane non hanno dubbi. Per fare un figlio vorrebbero avere un’entrata mensile tra i 500 e i 1.000 euro al mese, a seconda del reddito, almeno fino al termine della scuola primaria del bambino. Non servono quindi meccanismi fiscali o sostegni complessi. È quanto è emerso da un sondaggio realizzato dalla Società di diagnosi prenatale e medicina materno fetale a 425 persone, di cui 270 donne in età fertile e 155 coppie, durante consulenze cliniche ginecologiche avvenute da gennaio 2023 a oggi.

Bonus vigenti, detassazione e sostegni sociali sono irrilevanti

Secondo il sondaggio, i bonus vigenti sono stati considerati assolutamente insufficienti, come insufficiente è considerata la detassazione e irrilevanti i sostegni sociali. Il contributo di 500-1.000 euro a figlio ha avuto invece il 100% dei consensi.
“È apparso evidente che le giovani coppie hanno le idee chiare su cosa permetterebbe loro di decidere di mettere al mondo un bambino – ha commentato Claudio Giorlandino, ginecologo e presidente della Società di diagnosi prenatale e medicina materno fetale -: ovvero un sostegno economico serio per ogni figlio”. 

Le coppie si dovrebbero sostenere con denaro nelle “tasche”

Invece di erogare euro a pioggia, “si dovrebbero sostenere con denaro nelle tasche per ogni figlio quelle 50.000, 100.000 coppie che, per oggettivi limiti reddituali, non si possono permettere un bambino – ha aggiunto Giorlandino -. I figli sono una ricchezza, oltre a garantire il futuro, muovono l’economia. Si comincerebbero a vedere, di nuovo, per le strade le pubblicità dei prodotti dell’infanzia che stanno scomparendo, sostituite da una pletora di cartelloni gallows humor, macabri e imbarazzanti richiami per agenzie di pompe funebri”.

Un grave problema di natalità insufficiente

Giorlandino ha invitato quindi a “non dimenticare che nascono solo 300.000 italiani a fronte di circa 800.000 decessi: stiamo perdendo oltre 500.000 connazionali all’anno. Tra pochi decenni non ci saranno più italiani. Si perderà quel meraviglioso popolo che da oltre 2.000 anni è un faro di civiltà, cultura e progresso per tutta l’umanità. Qui non si tratta di evocare una complottistica ‘sostituzione etnica’, ma è evidente che stiamo scomparendo”.

La casa del futuro? Sarà green, indipendente, tecnologica e sicura 

Come sarà nei prossimi 10 anni la casa degli italiani? Secondo una ricerca condotta da BVA-Doxa per la III edizione dell’Osservatorio Change Lab Italia 2030, realizzato da Groupama Assicurazioni, sarà green, indipendente, tecnologica e sicura. Se durante la pandemia la casa era divenuta una ‘prigione’ oggi è percepita come un luogo polifunzionale dove condividere momenti felici con familiari e amici (73%) e in cui trascorrere il proprio tempo libero (38%). Ma rappresenta anche una garanzia per il futuro: un’eredità per i figli, un capitale utile in caso di necessità (46%), e un investimento sicuro (35%). Il crescente legame al mattone è confermato anche dai numeri: oggi chi possiede una casa di proprietà è il 79%, a cui si aggiunge un 15% che prevede di acquistarla in futuro.

Più terrazzi e più sostenibil
ità

Il 44% immagina la casa del futuro con un ampio spazio esterno (giardino, terrazza), ma anche indipendente (27%), con una grande zona living (26%) e una grande cucina (20%). Sulla sostenibilità della futura abitazione gli intervistati non hanno dubbi: per 6 su 10 dovrà essere ad alta efficienza energetica, come confermano i dati che attestano la propensione ad attuare interventi per rendere le abitazioni più ‘green’, attraverso lavori di isolamento termico/acustico (56%), ricorso a fonti rinnovabili per riscaldamento/illuminazione (56%), o l’adozione di dispositivi di domotica ed elettrodomestici a basso consumo (35%).

Sì all’orto, no alla vasca

I giovani di 18-34 anni sognano uno spazio verde per fare l’orto (39%) e il 13% degli italiani sarebbe propenso ad ammobiliare la propria abitazione con arredi ecosostenibili, o vorrebbe colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici sul piano strada (14%). Inoltre, per contenere i consumi idrici nei prossimi 10 anni sparirà la vasca da bagno (35%), soprattutto per i più giovani (42%). Inoltre, a scomparire potrebbe essere anche la libreria (13%), dal momento che in futuro si leggerà sempre più su supporti digitali. E anche se solo in minima percentuale (8%), gli italiani immaginano un futuro in cui la casa non avrà più un garage, perché spariranno le auto di proprietà, così come la cucina (6%), perché si mangerà sempre fuori.

Parola d’ordine: sicurezza 

Nei prossimi 10 anni gli italiani prevedono di acquistare in media 3,8 dispositivi digitali in più, a testimonianza della volontà di rendere le proprie case sempre più tecnologiche e connesse. Tuttavia, emerge una scarsa percezione dell’importanza della cybersecurity tra le mura domestiche: il 45% non conosce questa tipologia di rischio, e un 35% pensa di non doversi preoccupare di fronte a questo tipo di minacce. Eppure, gli italiani sono fortemente attenti alla sicurezza, soprattutto quando si parla di dispositivi ‘tradizionali’. Il 38% ha dotato le proprie abitazioni di luci di emergenza in caso di blackout, il 22% ha dispositivi antiscivolo nella doccia e per le scale, il 20% copri prese elettriche, il 18% ha installato rilevatori di fughe di gas, e il 13% in casa ha anche un estintore.

Italia, cresce il numero di persone con mutuo o prestiti

Secondo l’ultima analisi di Mister Credit, la divisione del gruppo CRIF specializzata nello sviluppo di soluzioni e strumenti educational per i consumatori, il numero di cittadini maggiorenni con un mutuo o un prestito è aumentato del 6,5% rispetto all’anno precedente, raggiungendo il 47,4%. Nel 2022, la rata mensile pro-capite media pagata dagli italiani è stata di 307 Euro, registrando una diminuzione del 2,5% rispetto al 2021. Tuttavia, l’importo residuo dei finanziamenti, ovvero la somma ancora da rimborsare per estinguere i contratti in essere, è aumentato del 3,1%, raggiungendo i 33.183 Euro. Questo è dovuto principalmente alla presenza significativa di mutui ipotecari nel portafoglio delle famiglie italiane.

Il prestito finalizzato è la tipologia più diffusa

La tipologia di finanziamento più diffusa tra le famiglie italiane rimane il prestito finalizzato, che rappresenta oltre il 50% dei finanziamenti totali (51,1%) e ha una rata media di 140 Euro, in diminuzione del 6,4% rispetto all’anno precedente. Al secondo posto ci sono i prestiti personali, con una quota del 29% e una rata media di 271 Euro (-0,7%). Infine, i mutui per l’acquisto di abitazioni rappresentano il 19,9% dei finanziamenti totali, con una rata media di 786 Euro (+1,5%). Questo dato riflette l’importanza della proprietà della casa in Italia.

La rata mensile più elevata? Si paga al Nord

L’analisi territoriale della Mappa del Credito mostra che le regioni in cui i cittadini pagano la rata mensile media più elevata sono il Trentino-Alto Adige, la Lombardia e il Veneto, dove si registra anche una maggiore incidenza dei mutui. Al contrario, le rate mensili più leggere si trovano al Sud e nelle Isole, dove l’incidenza dei mutui è più modesta. Nel complesso, nel 2022 la rata media rimborsata ogni mese è risultata in calo rispetto all’anno precedente in quasi tutte le regioni del Paese, con uniche eccezioni il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia.

Il debito residuo da rimborsare

Analogamente a quanto evidenziato a proposito della rata media mensile, anche per quanto riguarda il debito residuo ancora da rimborsare, i dati evidenziano come il Trentino-Alto Adige sia al primo posto del ranking nazionale con 42.442 euro pro capite, seguito dalla Lombardia, con 42.141 euro. Anche Emilia-Romagna e Veneto si caratterizzano per un’esposizione residua intorno ai 39.000 euro. Nel complesso, in tutte queste regioni si evidenzia una elevata incidenza dei mutui nel portafoglio. All’estremo opposto della classifica, con 21.201 euro, i cittadini della Calabria risultano avere un debito residuo pari circa alla metà di quello dei lombardi. Per altro, solamente in Calabria, Sicilia e Molise il valore che rimane ancora da rimborsare per estinguere i finanziamenti in corso risulta inferiore ai 25.000 euro. Nel complesso, rispetto all’anno precedente si registra un incremento del debito residuo in tutte le regioni.

Intelligenza artificiale, quanto ne sappiamo noi italiani?

Anche i doppiatori italiani si sono uniti allo sciopero contro i turni massacranti e l’uso dell’Intelligenza Artificiale. Nel frattempo, un noto quotidiano italiano ha deciso di sfidare i propri lettori ogni giorno, pubblicando un articolo scritto con ChatGPT e mettendo in palio abbonamenti e champagne per chi riuscirà a individuarlo tra le pagine del giornale. Tuttavia, l’IA sembra aver scalzato il metaverso dal podio della notiziabilità. I prompt, ovvero i programmi che creano testi e contenuti in modo automatico, stanno diventando sempre più diffusi e rischiano di sostituire lavori ripetitivi che non richiedono la creatività e la passione dell’uomo. Ma quali sono i reali numeri del fenomeno in Italia?

Il 48,5% degli italiani non ha mai sentito parlare di ChatGPT

Per rispondere a questa domanda, la digital intelligence company The Fool ha condotto una ricerca basata su una survey fatta a 1.000 persone tra i 16 e i 64 anni in Italia nel mese di febbraio, utilizzando i dati di GWI. La survey ha evidenziato che il 48,5% degli intervistati non ha mai sentito parlare di ChatGPT, il sistema di intelligenza artificiale sviluppato da OpenAI. Solo l’8% degli intervistati ha dichiarato di usarlo, mentre il resto ne ha solo sentito parlare o non ne conosce le caratteristiche. Tuttavia, il 34% degli intervistati ha mostrato un qualche livello di interesse verso ChatGPT.

La maggior parte di chi lo usa lo trova utile

Tra coloro che utilizzano ChatGPT, la maggior parte lo fa almeno una volta a settimana, se non tutti i giorni. I casi d’uso principali sono il miglioramento o l’integrazione del lavoro già svolto, la sperimentazione e il divertimento, e la ricerca di informazioni e fatti. Il 75% degli utilizzatori trova ChatGPT utile.
Tuttavia, la survey ha anche rivelato che il 58% degli intervistati è preoccupato che gli strumenti di intelligenza artificiale possano essere usati per scopi poco o per niente etici, come la disinformazione o per aiutarsi nei compiti scolastici. Il 41% è preoccupato per l’impatto che gli strumenti di intelligenza artificiale possono avere sugli artisti e i creativi, mentre il 40% crede che i progressi nei tool di AI possano migliorare il lavoro. Infine, il 26% degli intervistati non è preoccupato per come gli strumenti di intelligenza artificiale possano essere sviluppati.

C’è ancora una bassa consapevolezza degli strumenti di IA

In conclusione, la ricerca di The Fool su ChatGPT e l’intelligenza artificiale ha rivelato una bassa consapevolezza dell’esistenza di ChatGPT tra gli intervistati, ma anche un discreto interesse tra coloro che ne hanno sentito parlare. La maggior parte degli utilizzatori lo trova utile per migliorare o integrare il proprio lavoro. Tuttavia, una percentuale significativa di intervistati ha espresso preoccupazioni sull’utilizzo etico degli strumenti di intelligenza artificiale. 

Indagine globale, cosa rende felici le persone nel mondo?

Felici? Tutto sommato abbastanza, almeno a livello globale. L’indagine Ipsos condotta in occasione della Giornata internazionale della felicità 2023 (ricorrenza che cade il 20 marzo) in 32 paesi del mondo rivela che la maggioranza degli intervistati, pari al 73%, si dichiara felice. La buona notizia è che il dato è in aumento rispetto all’anno precedente: è di sei punti superiore a quella di un anno fa e di 10 punti superiore a quella registrata ad agosto 2020, quando il Covid aveva da pochi mesi  dell’agosto 2020, pochi mesi sconvolto la vita delle persone in tutto il mondo. Si scopre anche che i livelli di felicità salgono soprattutto in America Latina, ma con numerose variazioni a livello regionale. Tra i paesi più “contenti” si collocano Cina, Arabia Saudita e Paesi Bassi, mentre i livelli più bassi di felicità si registrano in Polonia, Corea del Sud e Ungheria. E l’Italia)? SI piazza al 25° posto della classifica, nonostante il 68% degli intervistati dichiari di essere felice.

Promossi i rapporti interpersonali, bocciata la situazione economica

Le persone sono più soddisfatte dei rapporti con amici e familiari e meno soddisfatte della situazione economica e politica del proprio paese. In particolare, cinque degli aspetti più importanti della vita sono i rapporti familiari, la possibilità di vivere la natura, l’istruzione e le relazioni sociali. Al contrario, gli aspetti di cui gli intervistati sono meno soddisfatti sono la situazione sociale e politica del paese, la propria situazione finanziaria, la vita sentimentale e sessuale e l’esercizio fisico.

Il senso della vita

La ricerca ha anche analizzato la relazione tra il livello di felicità generale dichiarato e il livello di soddisfazione per i vari aspetti della vita, rivelando che i primi cinque fattori di felicità sono il senso di significato nella propria vita, il controllo sulla stessa, la salute mentale e il benessere, la vita sociale e le condizioni di vita. Inoltre, sebbene la famiglia e gli amici siano tra le fonti di felicità più diffuse, un adulto su cinque non dispone di un sistema di supporto di amici o parenti su cui poter contare in situazioni difficili.

Il valore delle relazioni

L’indagine conferma l’importanza dei legami sociali e delle relazioni nella felicità delle persone, che tendono ad essere più soddisfatte dei rapporti con amici e familiari rispetto ad altri aspetti della vita. Inoltre, i risultati mostrano come la felicità sia strettamente correlata alla percezione del controllo sulla propria vita e al senso di significato che le persone attribuiscono alla propria esistenza. 

Lo smart working riduce le emissioni in quattro città italiane 

Il lavoro a distanza permette di evitare l’emissione di anidride carbonica, e consente risparmi in termini di tempo, distanza percorsa e carburante. È quanto emerge dallo studio ENEA sull’impatto ambientale dello smart working nelle città di Roma, Torino, Bologna e Trento dal 2015 al 2018, pubblicato sulla rivista internazionale Applied Sciences.
“Abbiamo scelto queste quattro città per due motivi: il primo riguarda le loro peculiarità legate al territorio e al profilo storico – sottolinea Bruna Felici, ricercatrice ENEA dell’Unità Studi, Analisi e Valutazioni – il secondo, e anche il più pratico, risiede nell’alto numero di risposte al questionario che abbiamo ricevuto dai dipendenti pubblici di queste quattro città, che in media lavorano da casa 2 giorni a settimana”. 

I numeri del risparmio ambientale

Più in particolare, il lavoro a distanza permetterebbe di evitare 6 kg di emissioni di CO2 e risparmiare 85 megajoule (MJ) di carburante pro capite. Ma l’analisi ha evidenziato anche una riduzione giornaliera di ossidi di azoto (dai 14,8g di Trento ai 7,9g di Torino), monossido di carbonio (da 38,9 g di Roma a 18,7g di Trento), PM10 (da 1,6g di Roma a 0,9g di Torino), e PM2,5 (da 1,1g di Roma e Trento a 0,6g di Torino).
“Il lavoro agile e tutte le altre forme di lavoro a distanza – spiega Roberta Roberto, ricercatrice ENEA del Dipartimento Tecnologie energetiche e fonti rinnovabili e co-autrice dell’indagine – hanno dimostrato di poter essere un importante strumento di cambiamento, in grado non solo di migliorare la qualità di vita professionale e personale, ma anche di ridurre il traffico e l’inquinamento cittadino e di rivitalizzare intere aree periferiche”.

Roma è la città più critica

Dai dati raccolti emerge che in media il campione percorre 35 km al giorno per una durata di 1 ora e 20 minuti. Roma si conferma la città più critica, con un tempo di percorrenza medio di 2 ore. Infatti, nella capitale gli spostamenti giornalieri per motivi di lavoro e studio sono circa 420mila, mentre ogni persona trascorre nel traffico 82 ore all’anno. Inoltre, per gli spostamenti extra-lavorativi nei giorni di smart working il 24,8% del campione dichiara di aver optato per modalità più sostenibili (mezzi pubblici, a piedi o bicicletta), l’8,7% ha modificato le proprie scelte in favore del mezzo privato, mentre il 66,5% non ha cambiato le proprie opzioni di mobilità.

A Trento si fa maggior ricorso ai mezzi privati

Circa la metà del campione dichiara di viaggiare esclusivamente con mezzi di trasporto privati a motore (47% in auto e 2% su due ruote), mentre il 17% viaggia esclusivamente con i mezzi pubblici e il 16% con un mix di trasporto pubblico e privato. Negli spostamenti casa-lavoro, Trento risulta la città con il maggior ricorso a mezzi privati a combustione interna (62,9%), seguita da Roma (54,4%), Bologna (44,9%) e Torino (38,2%).